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    Atalantamania: l’eterna seconda che può far più male domenica. Al Milan o alla Juve?

    Atalantamania: l’eterna seconda che può far più male domenica. Al Milan o alla Juve?

    • Marina Belotti, inviata a Reggio Emilia
    Verrà coniato un termine ad hoc. E non susciterà ironia o ritrosia come il ‘petaloso’ di cinque anni fa. Anzi, la Crusca capirà. Forse l’idea partirà ancora da un bambino, uno di quelli seduti ieri sera allo stadio, dopo 455 giorni, nella Tribuna Nord sopra il centro commerciale- sì, si chiama proprio così- ‘I Petali di Reggio Emilia’. Quando ti impegni ma non segni, quando giochi bene ma non vinci, quando lotti una stagione ma non alzi il trofeo finale, quando dai tutto ma arrivi sempre secondo. “Sei come l’Atalanta” non sarà un premio di consolazione o un’esclamazione avvilente. Ma una virtù, quella di rendersi protagonista senza titoli o prime pagine, quella di appassionare e far sognare città e Paesi senza rendicontare premi in bacheca. Solo per il fatto di giocare da Atalanta, di essere l’Atalanta.
     
    Quattro finali perse, una di seguito all’altra, 1987, 1996, 2019, 2021. Ma se il Napoli di Maradona e la Viola di Batigol erano inarrivabili, non si può dire lo stesso di Lazio e Signora. Ma è davvero una Coppa maledetta o maledettamente stregata? Sarebbe fin troppo facile soffermarsi solo sul ‘mani di Bastos’, sul fallo di Cuadrado ai danni di Gosens e sul rigore non dato (e chissà se poi trasformato…) a Pessina. Ora come allora, la ‘coppa DOP 24 mesi’ non ha stagionato a dovere, l’approccio alla ripresa ha peccato. Non è stato né da Dea, né da match da dentro/fuori.
     
    Maggio è il mese delle ciliegie, ma allora cosa è mancato davvero a questa Atalanta ‘da sogno a realtà’ per coglierne una da posare su quella torta ben amalgamata fatta riposare per 5 anni in frigo dal Pastry Chef Gasperini? La giusta dose di personalità che hanno le finaliste, Juve in primis, il sangue freddo delle gare secche, la mentalità di chiudere uno spareggio ad ogni costo. 
     
    Forse Malinovskyi si è ritrovato un po’ spaesato a partire in coppia con Pessina, Zapata troppo solo senza il fido compare Muriel, il redivivo Hateboer troppo esposto ai sermoni di Chiesa. Ma anche i cambi non hanno dato i frutti sperati, Muriel da un mese manca il solito en-plein, Pasalic non si riconferma, Ilicic scorda di riportare le lancette al poker valenciano. È mancato l’uomo-chiave, il man of the match decisivo. Perché l’Atalanta è squadra, ma forse ieri sera serviva anche un singolo. Un fuoriclasse oltre che un’anima. Un leader che, al 73’, desse la scossa giusta per ripareggiare i conti e portarla almeno ai supplementari. Mentre il capitano, Rafael Toloi, ha abbandonato la nave e pure la panca, rosso di rabbia proprio quando la Dea si giocava l’ultima fiche sulla roulette tricolore. In palio, la ciliegina d’oro dei 5 anni gasperiniani. Ha scommesso sul rosso ciliegia, ma ha fatto bianconero. Perdendo tutto.
     
    Tranne la possibilità di arrivare seconda, un’altra volta. Ma questa volta significa tenere il Milan lontano dall’Europa più bella, che vale forse mille ‘Coppe Italia’, gettandolo economicamente nei guai. Nessuna Primavera col Diavolo, nessuno sconto per punire la gang di CR7. L’orgoglio bergamasco vale e vuole di più. Semplicemente centrare il secondo posto, un’ultima volta. Per scrivere la storia senza chili d’oro e inchiostro. 
    Per avere la rivincita sulla Juve, sì, ma in Champions League.
     

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