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    Arrivabene: "La Juve voleva vincere la Champions, dovevo andare in tv e dire che avevamo speso troppo?"

    Arrivabene: "La Juve voleva vincere la Champions, dovevo andare in tv e dire che avevamo speso troppo?"

    L'ex amministratore delegato della Juventus, nonché ex-team principal della Ferrari e uomo legato alla famiglia Agnelli, Maurizio Arrivabene, ha concesso una lunga intervista al Corriere della Sera in cui ha ripercorso le sue ultime esperienze lavorative con quella in bianconero, suo malgrado, terminata con l'inibizione per il caso plusvalenze e un rinvio a giudizio della Procura di Roma sui bilanci del club bianconero. Tanti i sassolini dalle scarpe tolti in questa lunga dichiarazione. 

    FERRARI, JUVE E PHILIPPE MORRIS - "Ognuna di queste è stata importante, nulla mi è stato regalato e ho conquistato tutto con il lavoro. Vengo da una famiglia normalissima. Dopo una pausa post-juventus mi sto occupando di marketing digitale in società con un amico ex Philip Morris e una bravissima collega. Rivivo lo stesso spirito di quando ero a Losanna, l’orgoglio di essere italiano e di portare idee in giro per il mondo. In Svizzera avevo conosciuto Marchionne, gli dissi che avrei voluto fare qualcosa per il mio Paese".

    SBAGLIARE - "Vedo tanti manager di alto livello che hanno difficoltà a scegliere e non si assumono rischi. Così si evita di decidere demandando ai superiori, soltanto per mantenere la propria poltrona. In Philip Morris ci insegnavano a rischiare, a cercare strade nuove, se sbagliavi dovevi assumerti la responsabilità: in Ferrari lo facevo sempre".

    METTERCI LA FACCIA - "Un capo deve metterci la faccia, andavo sempre davanti alle telecamere. Mi viene da ridere quando sento concetti del tipo “mettiamo le persone al centro dell’azienda”: significa far comandare una élite e delegare il resto all’ufficio del personale. Io mandavo sul podio dagli ingegneri ai meccanici, le persone “invisibili”, mi dispiace non aver potuto continuare".

    LA JUVE - "Alla Juve ho voluto conoscere tutti i livelli, incontri a piccoli gruppi: dialogando scopri interessi e potenzialità umane, uno può funzionare meglio in un’area piuttosto che in un’altra".

    LECLERC ALLA FERRARI - "I piloti vivono di alti e bassi. In Charles ho creduto sin dal primo giorno: prima di essere inserito nell’academy si era presentato in ufficio impressionandomi. Non abbassava lo sguardo, mi fissava dritto negli occhi. Da quell’incontro mi sono convinto a prenderlo. Un vecchio maestro in F1 mi aveva detto che un campione si riconosce da come ti guarda. Mi stupì ancora quando, poco dopo la morte del padre, salì sul volo della squadra per la gara di F2. Gli chiesi: “Charles, che ci fai qui?”. E lui: “C’è una corsa, voglio vincerla per mio padre”. E vinse".

    I GIOVANI - "Spesso, durante le partite delle giovanili, e capita ovunque, si vedono diversi genitori gridare contro gli avversari. C’erano dei camper fuori dal centro di Vinovo della Juve, ci vivevano alcune famiglie che avevano lasciato il lavoro per seguire i propri figli, per loro erano talenti certi. Veramente diseducativo, mancano sorrisi e spensieratezza. Ai miei tempi gli osservatori giravano per oratori o nei più laici “campetti”, era un calcio più felice. Se eri scarso non ti gettavano la croce addosso, ai campetti si andava in bici, le squadre si formavano scegliendosi a turno mischiando quelli forti a quelli che lo erano meno, ma una volta fatte le scelte tutti diventavano squadra. Ora fin da bambini tutto è diventato iper professionale con genitori che fanno salti mortali per “scaricare” i figli agli allenamenti: sarebbe meglio una pizza in più con i figli e un allenamento in meno".

    L'ESPERIENZA ALLA JUVE - "Premetto che nel periodo in questione io ero nel cda in qualità di consigliere senza deleghe e in un momento in cui a causa del Covid ci si riuniva in videoconferenza. Allora la strategia della società mirava ad una forte espansione iniziata in precedenza con l’acquisto di Ronaldo e l’obiettivo era vincere la Champions ed entrare in modo solido e duraturo tra le grandi d’europa: di conseguenza sono stati fatti altri acquisti, poi il Covid ha complicato le cose".

    SPESO TROPPO - "Ho iniziato il mio lavoro da dirigente il primo luglio 2021 trovando una situazione piuttosto pesante a causa degli investimenti precedenti. Ovviamente la pandemia aveva aumentato i problemi, i costi di contratti molto onerosi avevano creato una situazione piuttosto difficile. Cosa dovevo fare, andare in tv e dire abbiamo sbagliato a spendere troppo? Vi immaginate la reazione di tifosi e media? In silenzio mi sono rimboccato le maniche e ho iniziato a lavorare, quell’anno grazie ad alcune vendite e all’acquisto di soli due giocatori, Locatelli e Kean, facemmo un mercato morigerato subendo anche critiche".

    CREDO NELLA GIUSTIZIA - "Le cose vanno avanti. Continuo a credere nella giustizia. Anche in quella sportiva? Vedremo cosa dirà la Corte Europea. Con Andrea Agnelli ci sentiamo ancora".

    MEGLIO LA JUVE O LA FERRARI? - "Mi date l’occasione per chiarire la mia esperienza alla Ferrari. Nessuno mi ha cacciato, altrimenti dopo non sarei andato alla Juve. Avevo un contratto di quattro anni e non è stato rinnovato, non abbiamo trovato un accordo. Non ero solo team principal ma anche managing director, deleghe date da Marchionne, la Ferrari era stata da poco quotata e la Scuderia doveva essere il fiore all’occhiello".
     
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