È una storia che parte da molto lontano, probabilmente ben più in là dei cinque anni trascorsi dallo show di Peppino Sculli, unico a non partecipare allo spogliarello per il pubblico ultrà. E più in là anche degli incontri che Criscito e Sculli consumavano al bar con i capi della curva, alcuni legati a clan criminali. Gentiluomini che il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi, due giorni fa, davanti alla Commissione Antimafia ha definito «malavitosi». Una denuncia che ha acceso un faro sull’infiltrazione della criminalità nel tifo genoano e portato a galla una consuetudine che a Marassi va avanti da troppi anni: «Rapporti promiscui tra calciatori e tifosi spesso mediati dalla società», li ha definiti Cozzi. Sufficiente a far scattare l’apertura di un’indagine da parte della Procura federale, che segue di qualche giorno quella scaturita dall’audizione del sostituto procuratore della Dda di Napoli Enrica Parascandolo sui rapporti – smentiti – tra il club partenopeo e gli ultrà legati alla camorra. Come si legge sulla Gazzetta dello Sport, chi ha lavorato a Genova, soprattutto su sponda genoana, non si stupisce: lo zoccolo più duro del tifo, per usare le parole di Cozzi riportate dal senatore Marco Di Lello, agisce con uno «stile mafioso in grado di condizionare la squadra». Ne sa qualcosa Gian Piero Gasperini, che l’anno scorso lasciò il Genoa, si dice anche per dissidi insanabili con gli ultrà rossoblu. Due giorni fa, a proposito di una recente indagine per associazione a delinquere condotta proprio dalla Procura di Genova a carico di un gruppo di tifosi, il procuratore Cozzi ha raccontato che Gasperini, oggi all’Atalanta, fu vittima di una storia di «ricatti ed estorsioni» nata dal rifiuto del tecnico di inviare i propri giocatori alle feste dei tifosi. Una storiaccia che ora rischia di costare cara al club di Preziosi.