Allenatori e presidenti: Il Bologna non ha pace
Due allenatori quest'anno, e siamo appena alla quinta di campionato. Via Bisoli, dentro Pioli. Due allenatori l'anno scorso, anzi tre, perché fra l'esonero di Colomba e l'ingaggio di Malesani una partita, quella inaugurale con l'Inter, la condusse Paolo Magnani. Due allenatori nella stagione 2009-2010, prima Papadopulo, poi lo stesso Colomba. Tre l'anno prima, quello del ritorno in serie A: partì Arrigoni, subentrò Mihajlovic, concluse Papadopulo, che, con una mano dal cielo, salvò la baracca in extremis.
Per rintracciare una stagione con un unico allenatore bisogna risalire al campionato 2007-2008, quello della promozione in serie A. In panchina stava Daniele Arrigoni, attualmente disoccupato. Come scotta la panchina del Bologna. E le ragioni sono molteplici. Quella bolognese è, come si dice, una piazza prestigiosa. Ma ormai da tempo immemore i trionfi latitano, i sette scudetti sono lontanissimi mentre le pretese restano alte, troppo alte. C'è poca pazienza e al clamoroso turn over delle panchina se ne è andato creando un altro, assai più inedito, che coinvolge i presidenti, ovvero la società. Dopo i tredici anni di Gazzoni, ne sono successe di tutti i colori. Dal 2005 al 2008 sulla tolda si è seduto Alfredo Cazzola, l'ex proprietario della Virtus, l'uomo che seppe trasformare il Motor Show da sagra paesana a Salone internazionale dell'auto. Si è fatto tre campionati di serie B e quando è salito in A ha salutato la compagnia. Voleva affiancare
al club un faraonico progetto immobiliare, ma gli venne bocciato. Subentrò il suo socio, un costruttore notissimo in città, Renzo Menarini, la cui azienda versa oggi in una crisi profonda, lacerante. Entrò con il chiaro obiettivo, da addetto ai lavori, di costruire il nuovo stadio, ma nell'estate del 2010, prostrato da spese folli e critiche feroci per i suoi ostentati rapporti con Moggi, vendette a un immobiliarista sardo, Sergio Porcedda, il quale non aveva i mezzi per comprare e portò in pochissimi mesi il club sull'orlo del fallimento. Da dicembre a oggi si sono succeduti tre presidenti e al vertice del club ora ci sono una ventina di soci. Adesso al timone c'è un altro costruttore, Albano Guaraldi, presidente dal 7 aprile. Deve ancora, e sembra incredibile, vincere una partita. L'azionista di maggioranza non è lui, anche se presto potrebbe diventarlo, ma Massimo Zanetti, mister Segafredo. Un uomo ricchissimo che ha litigato subito con gli altri soci e di fatto è uscito di scena. Potrebbe rientrare, mormorano in città, ma al momento, pur essendo socio, è fuori dal patto di sindacato, osteggiato dagli altri soci, isolato, deluso e amareggiato.
Nella sua complessità, la situazione è tutto sommato semplice. Il Bologna non ha le competenze necessarie a livello tecnico. Oggi non ha nemmeno un direttore sportivo, non esiste un progetto a lunga scadenza e provare a delinearlo non è una passeggiata, con i debiti che si sono andati assommando negli anni e che gli attuali soci sono stati costretti a fronteggiare. La squadra ha una rosa spropositata (il club non è riuscita a limare il monte ingaggi come avrebbe voluto), ha raccolto un punto in cinque gare, ed è colma di equivoci. Marco Di Vaio, 55 gol in tre stagioni, è ancora a secco. Salvarsi non sarà facile, anche se il neo tecnico Pioli, evitando i proclami che piacevano invece al suo predecessore, si è detto convinto di farcela. C'è una città, dietro, che se lo augura. E intanto rimpiange i bei tempi. Purtroppo, sempre più lontani.