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    Alla Juve il vero Pjanic: è l'erede di Pirlo e  la Roma non l'aveva capito

    Alla Juve il vero Pjanic: è l'erede di Pirlo e la Roma non l'aveva capito

    • Matteo Quaglini
    Quando, nel giugno del 2016, uscì il comunicato della Juventus sull’acquisto di Pjanic si capì anche dove la squadra cannibale di scudetti volesse farlo giocare. Il tema del ruolo di Pjanic era stato fortemente dibattuto per anni a Roma, nell’enclave romanista. Ed era sempre rimasto il dubbio: è un trequartista dicevano i più, può giocare anche centrale di centrocampo ribattevano alcuni opinionisti (peraltro molto, molto pochi) subito identificati come eretici delle questioni tattiche.

    Cinque anni così. Cinque anni a discernere l’identità e il modo di giocare del bosniaco. Cinque anni a chiedersi, con molti torti e alcune acclarate miopie, se Miralem Pjanic potesse essere un giocatore decisivo. I dubbi, nel calcio come nella vita, sono legittimi e infatti, sono state scritte commedie teatrali su questo modo di allineare la mente alle cose del mondo, ma una certa lungimiranza di vedute anche in casi minori come l’analisi di un giocatore è necessaria, altrimenti ci si distrae e si discute anziché produrre soluzioni.


    Troppe chiacchiere portano alla disfatta diceva Napoleone presagendo già a Quatre Bras, Waterloo. Troppe chiacchiere indeboliscono una squadra e magari ne fanno forte un’altra. La Juventus stabilì subito la sua idea tecnica su Pjanic: “Centrale di centrocampo”. Fu questa una notizia tecnica dentro una notizia economica. E fu importante perché dette un ruolo definito al bosniaco e di conseguenza costruì l’idea tattica complessiva dello schieramento da lì in poi più votato al gioco dei passaggi e dei filtranti per la squadra.

    Oggi questa posizione che poteva suscitare qualche perplessità per il passo lento di Pjanic è invece quella che meglio ne esalta le caratteristiche: costruzione del gioco dal basso, controllo e pulizia della palla in fase di appoggio dai difensori, regia, lancio verticale e lungo verso le punte. Tutto questo viene maggiormente esaltato, nel segno della continuità sempre cercata, partendo da una posizione più arretrata di 30 metri.

    Con maggior campo davanti e meno uomini avversari in marcatura Pjanic può far girare la Juventus dandogli tempi di gioco che si sposano bene con la forza dell’attacco frontale della squadra campione e ne aumentano l’efficacia in un’importante mescolanza tattica negli stili di gioco.
    Dall’altro canto la Juventus l’aveva pensata così in quel famoso comunicato, quando in altri due passaggi esprimeva attraverso le caratteristiche: “Spiccate doti tecniche” e il modello di gioco individuale: “Capacità di cambiare il volto di un’azione anche con un solo tocco di palla” cosa di nuovo avrebbe dovuto dare Pjanic alla squadra e come questa in base al suo nuovo regista si sarebbe mossa.

    Era ed è l’idea di una Juventus più tecnica e “europea” nello sviluppo della manovra offensiva il fine da raggiungere con l’obiettivo attraverso il gioco tecnico di tornare in finale di Champions e vincerla stavolta. Ma era ed è anche l’idea tattico e strategica di rilanciare nel calcio moderno il ruolo del regista, del playmaker, quel ruolo che s’insegna nei corsi allenatori quando si parla di un concetto che riguarda tutte le squadre, al netto delle differenze d’impostazione, la definizione dei ruoli sulla base di caratteristiche fisiche e tecnica individuale.

    Anche Velasco, seppur in un altro sport, ne ha parlato in una trasmissione sportiva argentina la “Llave del gol” quando ha dato molta centratura su come si costruisce una squadra: all’attenzione nella decodificazione dei ruoli. Ecco perché la Juventus ha pensato a Pjanic rivedendo Pirlo. Perché per migliorare la squadra serviva un regista, un tessitore di gioco, un erede vero del fuoriclasse italiano. Ora Pjanic non è Pirlo dal punto di vista tecnico e della visione del gioco, almeno non ancora, ma ha tutte le qualità per emergere nel suo vero ruolo quello in cui guarda la porta e gioca in verticale.

    A Roma se n’era accorto per un anno Garcia e poi anche Spalletti nel campionato 2015-16 l’aveva arretrato avanzando Naingolaan, questa inversione aveva giovato a entrambi perché li aveva portati a segnare tanto e a rompere le linee avversarie in verticale, uno il belga con la corsa e l’altro il bosniaco con i lanci lunghi da regista.

    La Juventus ha visto lungo come del resto i lungimiranti. A Roma invece solo nel finale hanno capito. E questo è un limite perché blocca la costruzione delle squadre e la loro competitività. Il rendimento di Pjanic di quest’anno conferma questa tesi: 20 partite (coppe comprese) 4 gol e 8 assist. E ancor più nel dettaglio, tolti i subentri, ha giocato 10 partite da mediano centrale nel centrocampo a 2 con due gol e due assist e 5 da centrale puro protetto da due guardie come Khedira e Matuidi con 2 gol e 4 assist. Tutto conferma come il plus del rendimento sia quando Pjanic possa impostare da dietro protetto dai suoi pretoriani. I passaggi corti a metà campo dell’era Luis Enrique o le esclusioni di Zeman nel periodo romano confermano come la visione lungimirante valga molto di più che l’analisi frettolosa del momento.

    Oggi che il campionato sta ritrovando, complessivamente, il giocatore centrale anche se non ancora tutti registi, un giocatore come Pjanic avrebbe fatto comodo alla Roma competitiva e molto forte di Di Francesco. Un regista in grado di coordinare il gioco, di lanciare lungo Dzeko o Perotti, di uscire dalle aggressioni avversarie a metà campo avrebbe completato la squadra e dato l’ultimo tassello che manca a questa Roma: la velocità di sviluppo del gioco dal basso. Anche i gol ne avrebbero risentito in meglio.

    ​Liedholm diceva che il gioco nasce da dietro, dal centrocampo, a Roma sono stati poco lungimiranti. Il regista per formare la squadra completa ce l’avevano, ma lo pensavano solo trequartista.
     
    @MQuaglini

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