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    Agnelli: 'Abete ha fallito, eterna rivalità Juve-Inter'

    Agnelli: 'Abete ha fallito, eterna rivalità Juve-Inter'

    "Il top player? Un giorno arriverà, ma non sempre serve. Pirlo, Barzagli e Pogba i migliori affari".
    Agnelli: Ho ricostruito la Juve.
    "Quando l'ho presa era una società apatica, ora punta alla Champions. Io voglio vincere sempre".
    "Abete ha fallito. Bisogna riformare la responsabilità oggettiva, ma se un dirigente sbaglia la società deve pagare. Beretta faccia un passo indietro, Abodi è l'uomo giusto per la Lega Calcio".
    Calciopoli: "Il ricorso da 443 milioni va avanti. Della Valle? Ha tempo libero...".


    Presidente Agnelli, lo sa che avete ucciso in culla il campionato?

    «Non è così. Il campionato è deciso quando lo dice la matematica. Mancano 20 partite e non abbiamo ucciso un bel niente».

    Uomini chiave?
    «Non c’è singolo che possa fare la differenza da solo. Questo è un lavoro di gruppo. Fare squadra a tutti i livelli, questo è il nostro credo. Fare squadra ti consente di far sembrare normale una cosa assolutamente non normale, come quella di giocare quattro mesi senza allenatore. Certo, uno dei nomi è indubbiamente quello di Conte. Ma anche lui non sarebbe stato così importante senza la squadra».

    Champions, Celtic buon sorteggio. Obiettivi?
    «La Juventus ambisce a vincere sempre. La cosa più importante oggi è ripetersi in Italia. La Champions ci permette di sognare, e ci piace sognare. Ce la possiamo giocare con tutti, fino in fondo».

    Drogba è il regalo di Natale?
    «Preferisco parlare degli uomini che abbiamo. La Juve ha il miglior attacco e la miglior difesa. E uno staff che se ci saranno da cogliere delle opportunità, non se le farà sfuggire. Gennaio è inflazionato da opportunità solo relative. Le spese importanti si fanno d’estate. Valuteremo il da farsi».

    La più grande emozione vissuta fin qui?
    «La sera dello scudetto conquistato a Trieste. Io ero a casa, in collina, e ho visto e sentito Torino esplodere sotto i miei occhi. Sono rimasto mezzora in giardino ad ascoltare».

    Conte il 12 dicembre: «...prendere giocatori da 35-40 milioni. Solo allora potremmo davvero iniziare a paragonarci a Psg, Barca, Real, Bayern e ai due Manchester». Quel giorno arriva e se arriva quando?
    «Arriverà senz’altro. Ma non è un giorno che arriva dall’oggi al domani per magia. Ci vuole la giusta gradualità. Questa è una società il cui fatturato è oggi di 215 milioni di euro e l’anno prossimo faremo il nuovo record. Ma occorre raggiungere un fatturato stabile di almeno 300-350 milioni di euro per mettersi al passo. Barca, Real e Manchester United fatturano mediamente 450-500 milioni, il Bayern 350, il Psg è diverso, un’anomalia legata ai suoi investitori arabi. Occorre aumentare le capacità di fuoco della società, ma tutti quanti dobbiamo capire che non sempre il grande investimento è quello che fa fare il salto. I migliori affari dell’attuale Juve sono stati Barzagli, Pirlo e Pogba, che sono costati in tutto 300mila euro».

    «Il bilancio del Milan è il migliore fra le grandi italiane...», lo ha detto Galliani giovedì.
    «Il Milan chiude i propri bilanci al 31 dicembre mentre noi lo facciamo al 30 giugno, è chiaro che certe cessioni del Milan pesano positivamente sugli ultimi conti. Sono gestioni di tipo diverso. La Juve sta progressivamente sempre meglio. Il nostro è un piano quinquennale: vincere e raggiungere l’equilibrio finanziario. Siamo in linea e i parametri del fairplay finanziario non ci preoccupano».

    Quanto pesa la crisi del Paese sulle scelte di mercato?
    «Siamo perfettamente consapevoli della realtà che sta vivendo il Paese. Detto questo, la società ha i suoi azionisti e a loro risponde. E qui si continua ad assumere, 80 persone solo negli ultimi 18 mesi. Siamo a un totale di 300 dipendenti, calciatori esclusi».

    «Dobbiamo cambiare il calcio italiano». Lo ha detto il 26 ottobre citando riforme dei campionati, legge 91 sul professionismo, Melandri sui diritti televisivi, legge sugli stadi e migliore tutela dei marchi. Il menù è sempre quello?
    «Sì. Quando sono arrivato alla Juve, due anni e mezzo fa, ho trovato una società sostanzialmente apatica, che accettava i risultati che arrivavano e, stadio a parte, non pensava al rinnovamento. Già si diceva che sarebbe stato necessario "cambiare il mondo", sì, ma prima dovevamo cambiare noi. E’ da lì che siamo partiti e per ritenerci "arrivati" abbiamo ancora da realizzare due cose: la cittadella Juve di Continassa, un’operazione di 340 milioni di euro tra investimenti diretti e indiretti; e l’allineamento del valore della maglia ai livelli dei competitor europei. Finito il percorso interno alla Juve, dobbiamo pensare alla crescita del calcio in Italia. E lì bisogna intervenire su tutto. Trovare in Lega una guida strategica e un piano, sapendo che ci vorranno tra i 5 e gli 8 anni per riportare il calcio italiano ai vertici di quello europeo. Il nostro stadio mi rende felice e orgoglioso, ma da solo non serve, ne occorrono almeno altri dieci. La sicurezza: a Londra, freddo cane, esco da Stamford Bridge con la giacca della società sulle spalle, qualche giorno dopo ero a Firenze e uscire con mia moglie a braccetto dallo stadio era semplicemente impensabile. I marchi: il Censis dice che il giro d’affari dei marchi contraffatti in Italia, non solo sport, è di 8 miliardi di euro, e non succede niente. Legge Melandri: le linee guida sono corrette, sarà la Spagna prima o poi a doversi allineare. Noi nel passaggio al diritti collettivi ci abbiamo rimesso 30-35 milioni di euro. Tutto o.k. mai paletti sono troppi e troppo penalizzanti, e con le delibere della Lega che finiscono 15 a 5 con le grandi all’angolo ci rimettiamo sempre. Per non parlare dei diritti tv internazionali, dove il gap con gli inglesi è di uno a dieci. E la legge 91, che ancora tiene insieme l’iperprofessionismo e quello di base. I campionati: scenderemo tra due stagioni a 102 squadre professionistiche, beh, sono ancora troppe».

    In conclusione?
    «Va ipotizzato un documento comune: una sorta di testo unico dello sport, in cui Coni, Federazioni e Leghe continuino ad avere le loro funzioni, ma all’interno del quale va riscritto praticamente tutto».

    Nel frattempo la Lega di serie A non è riuscita a darsi un nuovo presidente. Lei sponsorizzava Abodi, e ora?
    «Va riconosciuta la validità della candidatura di Abodi. Trasversale, perché è stato appoggiato da club grandi e piccoli insieme. Un patrimonio di consensi che non deve essere disperso. La Lega oggi fattura un miliardo, deve arrivare a due in cinque anni. Credo che la candidatura di Abodi resti valida, va portata avanti continuando il dialogo con i club che non lo hanno votato».

    Beretta?
    «Arrivati a questo punto io mi aspetterei da Beretta che fosse lui a fare un passo indietro. Restare lì, approfittando dello sfinimento delle parti, non rappresenta il bene della Lega».

    In Lega la storica alleanza Juventus-Milan sul nome di Abodi è venuta meno e in compenso ne è nata un’altra, imprevedibile. Con l’Inter...
    «Non ragionerei sul fatto che nasce un’alleanza e ne muore un’altra. Juventus, Inter e Milan rappresentano il 70% del fatturato del calcio italiano e non devono dimenticarlo».

    Calciopoli. Sei anni e sette sentenze dopo...
    «Mi sembra che di sentenza in sentenza paradossalmente Giraudo e Moggi siano rimasti i soli colpevoli. I mille che c’erano prima non ci sono più».

    Il presidente del Coni Petrucci ha più volte definito «un successo» il tavolo della pace dell’autunno 2011, la Gazzetta lo considerò un fallimento. E lei?
    «Valutazione neutra. Un momento di confronto comunque utile, anche se le persone intorno a quel tavolo si parlavano prima e hanno continuato a farlo dopo. Il documento che allora mi fu proposto era assai strano: voltare pagina con la consapevolezza che fu giustizia sommaria, questo c’era scritto. Una bizzarria».

    E’ sempre in piedi presso il Tar del Lazio il ricorso in cui chiedete danni alla Federcalcio per 443 milioni. E’ intenzionato a insistere?
    «Sì, il ricorso va avanti».

    E insistendo, non crede che questo ricorso possa rappresentare una sorta di «sudditanza psicologica», di «condizionamento» nel succedersi delle stagioni e dei campionati?
    «Io credo che la Federazione abbia avuto tutti gli strumenti per decidere sulla questione Inter. Decidendo di non decidere è andata incontro a questa situazione».

    Arriverà mai il giorno in cui dirà a tutti, da Moratti ai tifosi della Juventus, «voltiamo pagina e non pensiamoci più»?
    «Dipenderà dall’evolversi di molte situazioni. Oggi le condizioni non ci sono. Se si creeranno, chissà. Ma la rivalità storica con l’Inter, sia chiaro, non verrà mai meno».

    Scommessopoli. Lei ha sempre creduto a Conte, alla sua innocenza. Ma in privato gli ha almeno detto che la prossima volta deve cercare di essere più «attento» di quanto non si sia mostrato a Bari e a Siena?
    «Sì, l’ho fatto. E la risposta me l’ha data lui: "Devo evitare di vincere con tre o quattro giornate d’anticipo!"’».

    Riforma della giustizia sportiva.
    «Tema delicato, accentuato dal fenomeno criminale di Scommessopoli. Molte cose non funzionano: il principio dell’omessa denuncia, strumento come minimo discutibile, che per giunta rappresenta un limite alle indagini dei p.m. per le ricadute che ci sono sulla giustizia sportiva. Un tesserato non parla perché sa che questo gli costerà la squalifica, è ovvio. E poi la responsabilità oggettiva: paghiamo per il comportamento di certi tifosi e questo è già sbagliato. Ma soprattutto paghiamo o rischiamo di farlo per il comportamento dei tesserati, addirittura per quelli che il presunto reato sportivo lo hanno commesso in un’altra società. E dai giocatori "infedeli" come ci difendiamo? Pedinandoli? Non mi pare il caso».

    Il dirigente che si macchia di illecito secondo lei deve costare alla società un coinvolgimento per responsabilità oggettiva?
    «Certo che la società deve pagare. Lì c’è la responsabilità diretta».

    «Non si possono trattare investimenti da milioni di euro come le dispute di un piccolo circolo sportivo e non ci si può affidare solo a dopolavoristi». Sono sue parole. Che fare?
    «Ora abbiamo persone che passano in pochi minuti dal giudizio su un giocatore patrimonialmente importante come Bonucci a quello sull’ultimo dei dilettanti. Perché non dobbiamo avere dei professionisti che si occupano di queste cose? Oggi la giustizia sportiva è interamente controllata dal presidente federale, dove sono la terzietà e l’indipendenza? E non posso sentirmi dire, come fa Abete, che ci sono i principi Fifa e Uefa da rispettare. Abbiamo un problema, come lo risolviamo? Possibile che le istituzioni dicano sempre "dovremmo fare, dovremmo fare" e non succede mai nulla? Occorrono figure che accedano a certi ruoli per concorso. Butto lì un’ipotesi: una sezione speciale dei tribunali che si occupa di vicende e di giustizia sportiva, finanziata se è necessario dallo stesso sistema sportivo. Così si arriverebbe al giusto processo, che in questo Paese manca in assoluto».

    Abete sì o no?
    «La Nazionale che va in finale all’Europeo non vuol dire che il calcio sta bene e la federazione funziona. Se gareggiamo per ottenere gli Europei e veniamo bocciati, quello è un fallimento. Se gli stadi continuano a non esserci, quello è un fallimento. E chi è deputato a questo cose? Moratti, Galliani, Agnelli, o chi governa il calcio? Chi non ha operato, le società o le istituzioni?»

    Una solenne bocciatura. Tavecchio è il nuovo che avanza?
    «No. E’ tutto il sistema che purtroppo in questo momento non riesce a rinnovarsi».

    E’ vero che vuole una poltrona nel prossimo Consiglio federale?
    «No. Oggi la cosa importante, fondamentale, è la guida della Lega. Il resto non mi interessa, con l’eccezione del posto che occupo nell’Eca, l’organismo europeo dei club. I soldi veri escono da lì, da una Champions che vale 1,2 miliardi l’anno. Campionato d’Europa per club? Commercialmente sarebbe la conclusione più logica ma le tradizioni non lo consentiranno mai».

    Della Valle non perde mai occasione per picchiare duro, sia che si tratti di Fiat che di Juventus. Perché?
    «Ha tanto tempo libero».

    Del Piero, una storia bellissima che forse meritava di finire meglio.
    «Meglio era impossibile. Ha alzato la coppa dello scudetto nel suo stadio, il miglior sceneggiatore non poteva studiare un’ultima volta più bella di questa».

    Visto che ci troviamo, Pagnozzi o Malagò?
    «E’ indifferente, sono validi sia l’uno che l’altro. Conta quale sarà la capacità di affrontare i temi sistemici dello sport. Che non può più permettersi una classe dirigente che occupa poltrone e rilascia interviste alle Olimpiadi. No al volontariato. E sì ai manager, ben pagati mache poi rispondano del loro operato».

    E tra Monti, Bersani e Berlusconi?
    «Un mondo ancora più distante. Se ognuno si occupasse del proprio mestiere senza preoccuparsi di quello degli altri tutto in questo Paese funzionerebbe molto meglio».

    Visto che oltre al prossimo scudetto Juve se ne prevedono in arrivo molti altri, cosa dobbiamo aspettarci? Di andare avanti con «31 sul campo, 32 sul campo, 33 sul campo...»?!
    «Mi basta continuare a vincere. Sempre».
     


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