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Adesso lasciate in pace Paolo Maldini!
Il secondo step di miopia imprenditoriale in chiave milanista è molto più recente. Databile il giorno in cui Paolo Maldini diede l’addio al calcio giocato in maniera quasi surreale: ricevendo fischi e insulti al Meazza da parte di una ristretta ma assai ben istruita porzione di tifoseria ultras per poi, una settimana dopo, venir celebrato dall’intero pubblico di Firenze che gli riservò un meritata e inattesa standing ovation. Già questo bizzarro evento, da solo, sarebbe dovuto bastare per lasciare intendere ciò che sarebbe accaduto nelle puntate successive.
C’è una premessa fondamentale da fare. Nel corso delle ultime stagioni del Maldini giocatore e capitano, più di una volta Silvio Berlusconi parlando con il suo campione gli garantì che la sua carriera in rossonero non si sarebbe conclusa con il fischio dell’arbitro nell’ultima gara, ma sarebbe proseguita con nuova investitura dirigenziale adeguata ad un personaggio del suo valore non soltanto calcistico. Paolo Maldini per il Milan non sarebbe stato soltanto una semplice bandiera.
Berlusconi, forse in buona fede ma egualmente e stranamente ingenuo, non aveva fatto i conti con un uomo il cui potere, nel corso degli anni, aveva assunto dimensioni inimmaginabili anche perché strada facendo era riuscito a vedere ogni tipo di scheletro nascosto negli armadi del Milan e della Fininvest. Il primo segnale che tra Paolo Maldini e il Milan di Galliani non ci sarebbe stata storia arrivò il giorno quando papà Cesare, entrato come ogni mattina nella sede di via Turati, non trovò più la sua scrivania. Gli avevano riservato una sorta di “gabbiotto” fantozziano da sottoscala. Cesare girò i tacchi e, per continuare a divertirsi lavorando, andò ad Al Jazira per fare il commentatore.
Ora il Milan non è più di Berlusconi. Dubito assai che la nuova proprietà dia la possibilità a Galliani di durare più a lungo di, come è uso dire, un gatto randagio finito di notte in autostrada. Il restyling cinese, in atto, sarà radicale come è giusto che sia e non vi saranno prigionieri. E’ altrettanto vero che agli uomini arrivati da Oriente certe tradizioni e determinate simboli a loro empaticamente estranei non possono importare di meno. I loro obbiettivi sono chiari, le forze in campo per realizzarli anche. Sicchè il fatto che il nome di Paolo Maldini sia stato nuovamente tirato in ballo, in questi giorni, a proposito del futuribile organigramma milanista non può fare altro che creare ulteriori malinconie e per qualcuno, mi auguro, schegge appuntite di rimorso. A lui, in particolare, non piace e fa male. A Paolo il quale, davanti alla telecamera di Sky, ha pregato di lasciarlo una volta per tutte in pace evitando di accostare il suo nome alle vicende di una squadra e di una società per le quali prima suo padre e poi lui offrirono ogni briciola di loro stessi e dalle quali sono stati ripagati con le monete false dell’ ingratitudine. I cinesi questo non lo possono sapere e anche se ne venissero a conoscenza si limiterebbero a mostrare loro soliti sorrisini di circostanza. Del resto si tratta soltanto di una pessima storia all’italiana.