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    Addio a Ginulfi, parò un rigore a Pelé VIDEO

    Addio a Ginulfi, parò un rigore a Pelé VIDEO

    • Furio Zara
      Furio Zara
    Un giorno, una vita. Alberto Ginulfi - scomparso oggi all’età di 81 anni - è un’immagine sgranata in bianco e nero con una data ven precisa. 3 marzo 1972. Quel giorno all’Olimpico si giocava un’amichevole tra la Roma e il Santos. Nel club brasiliano, che all’epoca girava l’Europa come i Globetrotters per fare cassa, giocava il verande Pelè: Ebbene: quel giorno Ginulfi parò un rigore a Pelè. Unico portiere italiano a riuscire nell’impresa. O rei si congratulò subito con il portiere promettendogli la maglia a fine partita. E così andò infatti. Quella maglia Ginulfi l’ha custodita fino alla fine, tra le cose più care. Fu un attimo che durò per sempre, una parata che ne accompagnò tutta la carriera, cancellando quello che c’era stato prima e ridimensionando quello che ci fu dopo. Per tutta la vita quella parata fu come un’invisibile medaglia appesa al petto. Per anni Ginulfi volò con calcolato giudizio da un palo all’altro e parò abbastanza per essere ricordato come un buon professionista, ma per tutti rimase sempre l’uomo che aveva stregato Pelé. 



    Ginulfi è stato un buon portiere in anni in cui in Italia la tradizione era ricca. Albertosi e Zoff erano i modelli, ma dietro di loro - dal Ragno Nero Cudicini a Lido Vieri - in tanti facevano il mestiere con grande dignità. Classe 1941, era romano di San Lorenzo e con la squadra della sua città aveva speso gli anni migliori. Aveva difeso la porta dei giallorossi dal 1962 al 1975, prima di lasciare la squadra del cuore - era scoccata l’ora del giovane Paolo Conti - e chiudere la carriera con altre esperienze al Verona, alla Fiorentina e alla Cremonese. Ma prima, da ragazzino, come tanti altri colleghi della sua epoca, aveva avuto un’altra vita. Lavorava al banco del pesce della zia, a Piazza Vittoria. Si alzava tutte le mattine all’alba, andava a lavorare, tornava a casa e preparava il borsone per andare agli allenamenti nelle giovanili della Roma, a Piazza Tre Fontane. Erano vite così, che il calcio gratificava all’improvviso, di fama e di una placida ricchezza. Ginulfi con la Roma giocò 217 partite in tutte le competizioni. Era un portiere affidabile, in una squadra che non aveva grandi ambizioni e che molti ricordano come la “Rometta”. In quegli anni romani vinse comunque due volte la Coppa Italia e una volta il Torneo Anglo-Italiano. 

    Era anche un ragazzo umile e sobrio nei comportamenti, stimato dai compagni di squadra proprio per il modo di affrontare la quotidianità. Si arrabbiò davvero - in campo - soltanto una volta. Accadde nel dicembre del 1969, poco prima di Natale, all’Olimpico, durante un Roma-Palermo. Un avversario calciò il pallone verso la sua porta, Ginulfi si stese in volo e deviò il pallone, proprio sulla riga. Un guardalinee - allora il Var non esisteva - segnalò invece all’arbitro che quel pallone aveva oltrepassato la linea di porta ed era entrato. L’arbitro assegnò il gol al Palermo. Ginulfi non se ne diede ragione, provò a convincere l’arbitro, ci andò a parlare, gli giurò che quel pallone non era entrato. Ma l’arbitro aveva deciso. Se andate a rivedere le immagini di quella partita, vi accorgerete che aveva ragione lui. 

     

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