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    A tutto Vivarini: 'Il mio Catanzaro ha fatto dimenticare la Juve. De Zerbi, Sarri e i complimenti di Nesta...'

    A tutto Vivarini: 'Il mio Catanzaro ha fatto dimenticare la Juve. De Zerbi, Sarri e i complimenti di Nesta...'

    Vincenzo Vivarini e la favola Catanzaro. Il tecnico abruzzese ha guidato il club alla promozione in B e ora è quinto in Serie B, pur avendo il terzultimo monte ingaggi del campionato. Queste le sue parole a La Repubblica: “Qui a Catanzaro la gente sta vivendo un sogno. Mi fermano per strada e mi offrono la colazione al bar e mi dicono: Mister, una sera venga a mangiare a casa mia! Ma come faccio? Io sono uno solo. Sono finalmente felice, non c’è una parola migliore. Dare continuità al lavoro è la cosa a cui più tengo. Nel calcio serve tempo, ma non lo si ha mai. I risultati arrivano così”.

    La vittoria più bella in questa stagione?
    “Per me, è sempre quella che deve ancora arrivare. Per i tifosi è stata quella nel derby col Cosenza. La Calabria è una regione di campanilismo feroce. C’è il Crotone. C’è la Reggina. Impossibile immaginare una situazione come quella del Cagliari che è amato anche nel resto dell’isola”.

    Credete veramente nella possibilità di riportare la squadra in Serie A, dopo quarantadue anni?
    “Io lavoro e guardo un metro davanti a me, per mettere bene il piede nel prossimo passo. Guardo solo alla partita con la Reggiana. Ma mai dire mai. Qui il clima è incandescente, c’è quel clima che chi non ha vissuto al Sud non può capire”.

    Prima da calciatore, poi da allenatore, lei ha giocato e allenato parecchio.
    “Il calcio ha bisogno di esaltazione, di amore, di trasporto emotivo, e al Sud ce n’è di più. Basta vedere come hanno festeggiato lo scudetto i napoletani. Per allenatore e squadra sono soddisfazioni enormi. L’altra faccia della medaglia è che se i miei giocatori praticamente non possono girare per strada, tale è l’affetto della gente”.

    Insieme a lei, l’idolo del pubblico è Iemmello. Cos’ha di speciale?
    “Si dice che nessuno è profeta in patria, lui è l’eccezione. È l’unico catanzarese in spogliatoio. Ha un carattere particolare, vive solo per il calcio. Dà tutto in campo, ma a patto di essere capito. È un rebus, ma anche un giocatore fortissimo”.

    Come avete fatto a tenere a Catanzaro i protagonisti della promozione dalla C, pur non pagando gli stipendi delle big del vostro campionato?
    “Il nostro gioco piace ai calciatori, si divertono, e il divertimento è un legante fortissimo. Poi c’è l’amore della città, che vive in simbiosi totale con la squadra. E infine la serietà della famiglia Noto, proprietaria del club”.

    I nuovi arrivati sono quasi tutti giovani.
    “Alla squadra che già allenavo da due anni, con cui abbiamo centrato la promozione, abbiamo aggiunto ragazzi a cui chiediamo freschezza e spregiudicatezza. Vederli rispondere così bene è stupendo”.

    Le vostre vittorie stanno convincendo i catanzaresi a mettere nel cassetto le sciarpe dei grandi club del nord, che molti tifano, e portare al collo quella giallorossa?
    “Qui in città sono quasi tutti juventini, non è un luogo comune, basta vedere i gagliardetti nei negozi. Allo stesso tempo, però, si vive nel mito del Catanzaro in Serie A. Finalmente, dopo tanti anni, abbiamo sempre lo stadio sold out. Il clima sugli spalti è stupendo. La Juve, nei discorsi di calcio nei bar, è passata in secondo o terzo piano”.

    Lei è cresciuto con Sarri al Pescara. Come ha preso il fatto che lei si sia convertito alla difesa a tre?
    “Ci scherziamo sempre. Mi ha detto: adesso che giochi a tre, ti tolgo il saluto. Ma io gioco anche a quattro se serve. Modifico la struttura della squadra in base alle esigenze, non ho un modulo fisso. E faccio quello che fa Inzaghi all’Inter: mando in attacco i braccetti di difesa. È bello vedere squadre come Inter e Bologna che vincono giocando bene”.

    Oggi va di moda il sergente di ferro in panchina. Lei ad Ascoli aveva fama di allenatore alla Ancelotti, che fuori dal campo lascia libertà ai suoi giocatori. È ancora così?
    “La mia linea è sempre quella. I giocatori sono anzitutto ragazzi, con difficoltà, problemi, pressioni. Se uno ha una vita triste, lavora male. Si chiama gioco del calcio, sottolineo gioco, per un motivo. Se manca il divertimento, viene meno tutto il resto. Sono rari i momenti in cui un tecnico deve essere dittatore”.

    Ha sette cani.
    “Sono bellissimi. Pointer da caccia. A me cacciare non piace, ma li porto in montagna. Amo la natura, le passeggiate. In un certo senso sono come parenti”.

    Chi altro c’è nella sua famiglia?
    “Due figlie stupende, Flavia e Ilaria, laureate entrambe. Una lavora alla Kiko dei Percassi, l’altra è appena uscita dall’università. E mia moglie Rossella che segue me e loro. Sono la mia ricchezza”.

    Lei ha fatto tutta la trafila, partendo dai dilettanti.
    “Sinceramente sono deluso dal calcio. Mi è stato tolto tantissimo, non mi sono stati riconosciuti meriti che avevo. Sono stato esonerato senza spiegazioni. La vita del mister fuori dalla Serie A non è uno scherzo”.

    Tanta fatica, qualche soddisfazione. La più bella è stata la promozione in B col Catanzaro con 96 punti, lo scorso anno?
    “Ho vinto cinque campionati, tutti belli, ciascuno a modo suo. A Teramo è stato stupendo, nessuno si aspettava la nostra vittoria. Ma subito ci fu l’amarezza della retrocessione per il calcioscommesse. Dell’avventura a Catanzaro, per ora, tengo soprattutto l’affetto della città. Ma ripeto: sono momenti felici in anni duri”.

    L’esonero che ritiene più ingiusto?
    “Quello di Empoli. La squadra veniva dalla retrocessione. Ho ricostruito da zero una squadra fatta per la Serie B. Avevamo qualità, idee, tutto. Mi mandarono via a dicembre quando eravamo quarti, in piena corsa per vincere il campionato. Inspiegabile. Nesta vedendo il mio Catanzaro mi ha detto: in Serie B il calcio che fai tu lo ha fatto solo Andreazzoli a Empoli. Evidentemente non ricordava che nella prima parte della stagione su quella panchina c’ero io”.

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