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100 giorni dopo
Il discorso è annoso e non sfugge alla noia della ripetizione: il nostro campionato dovrebbe allinearsi con gli altri, anticipando di una o due settimane il suo inizio. È tempo che verrebbe messo a profitto: lo guadagnerebbero i club di vertice, arrivando più rodati alle prime partite delle competizioni europee. E così la Nazionale, storicamente in affanno nei match settembrini, con gli azzurri imballati rispetto alla concorrenza. E se l’anticipo fosse di due settimane, si troverebbero così giorni utili per gli allenamenti anche durante la costipata prima parte di stagione, magari evitando turni infrasettimanali per rimettersi al passo con gli altri. E mettendo un turno di riposo dopo i primi due faticosi mesi, da destinare al recupero delle energie. E comunque dilatando il calendario, sempre per governare meglio il lavoro delle squadre. Oppure concedendo uno stage alla Nazionale, mitica chimera di almeno mezza dozzina di ct (chissà se Conte verrà accontentato dai fatti, dopo essere stato nutrito di belle parole). Tempo guadagnato, dunque, e in molti modi. Una causa che non viene più perorata è quella di rimpolpare la Coppa Italia, il secondo trofeo della nostra patria calcistica e l’altra via di accesso all’Europa. In Inghilterra (e Galles) è roba sacra e così viene vissuta la mitica FA Cup. Altrove è lotta che dura molti mesi. In Italia si ravviva in primavera perché da qualche anno si risparmiano le squadre migliori da troppi turni preliminari. Le migliori 8 della stagione precedente entrano in gioco solo dagli ottavi e per due turni giovano della partita secca a favore di campo! In pratica, con 4 partite decenti sono in finale. Se la sorte è favorevole, possono essere anche partite di modesta difficoltà (l’ultimo tabellone della Fiorentina, per esempio). Molto più intrigante e appagante sarebbe un torneo con più turni di rango, e magari qualche sfida che invece potesse porgere il fattore campo ai più deboli (o affidarlo al sorteggio, come nella FA Cup). Ma non c’è tempo, non c’è spazio: parole false come certe lapidi.
Il problema è che il governo del calcio italiano non crede al suo prodotto. Non crede di poter realmente invertire la secolarizzazione dello spettacolo più amato e condiviso. Teme stadi vuoti, disinteresse, lamentele di chi vuole giocare solo le partite essenziali e decisive. Eccolo il tempo: cominciamo prima a giocare le partite ufficiali. Un mese di ferie, e poi quarantacinque giorni di preparazione. Da Ferragosto si va in campo per i tre punti, come fanno altrove. Chi sventola il caldo come alibi, ripassi la geografia: Madrid è più a sud di Napoli, Siviglia è sotto Palermo: ma sabato prossimo in Andalusia si scenderà in campo, in notturna, ovviamente (basta programmare bene).
Chi invece contrapporrà la brevità dell’estate causa Mondiali verrà messo di fronte ai campionati di Olanda e Belgio (nazionali peraltro che hanno dovuto sostare in Brasile due settimane oltre gli azzurri), già alla quarta giornata, quando attaccherà la Serie A. Chi eccepirà che molti di quei nazionali giocano in Inghilterra, vedrà che la Premier è già calda quando la Serie A è ancora in giro per il mondo a incontrare selezioni esotiche. Questo è il punto: non si vende il prodotto “federale” ma si lascia ai club la possibilità di vendere il prodotto “singolare”. L’estate è una caccia ai pochi spiccioli, a costo di fare 30-40 mila chilometri su per aria in un mese: quello è il vero tempo sottratto all’allenamento dei muscoli. E se davvero manca il tempo (ma si è visto: non manca, viene solo usato in altri modi) allora ecco un pretesto perfetto per giungere a una delle riforme più importanti e doverose per la nuova Figc: la riforma dei campionato, con la riduzione delle squadre (18 in Serie A, 20 in Serie B anche per disinnescare l’argomento che la terza neopromossa dalla cadette ria di ferie ne fa ben poche: certo, è costretta a passare da un demenziale campionato di 50 partite!). Anche queste sono idee vecchie, pertanto logorate dalla infinita replica di loro stesse. E la nuova Figc è attesa anche da altre riforme (la riduzione coatta del numero di giocatori sotto contratto, la previsioni di un numero congruo di giovani italiani nelle stesse rose, la riformulazione degli obblighi di trasparenza aziendale – e sarebbe bello aprire all’azionariato popolare per legge, come in Germania). Con un minimo sindacale di serietà, si darebbe la caccia anche al tempo (perso): per ritrovarlo, per guadagnarlo, per costruirci sopra qualcosa, per ridare credibilità e prestigio alla Coppa Italia, per smettere di vivere questa interminabile attesa di niente, un mercato che dura tre mesi, senza soldi, senza astuzia, senza campioni da comprare. E partite ovunque, per tutti, tranne che vere, ufficiali: nemmeno più la supercoppa siamo in grado di garantire (si farà a Natale quando dovrebbe logicamente essere l’avvio della stagione, “premiando” le due vincitrici delle ultime corse). Anche qui è pronto il contropiede: ma il Napoli ha il preliminare di Champions…vero, verissimo, ma intanto fa amichevoli con il Barcellona e il Psg, ed è in ritiro da 50 giorni, mentre la Juventus è in giro per il mondo (Indonesia, Austrlia, Singapore e ritorno: una cosuccia da 35 mila chilometri). Qui è finito tutto il tempo a disposizione, tanto, e molto di esso è andato sprecato, e così fra l’ultima partita della Serie A 2013-2014 e la prima giornata del campionato 2014-2015 passeranno più di 100 giorni: un’enormità senza paragoni nel pianeta.
Marco Bucciantini (giornalista de L'Unità)