Zigoni, doppio rimpianto: aver detto no all'Inter, squadra del cuore, e non aver sfondato nel Milan di Ronaldinho
Nessun rimpianto, per carità. Salvo uno: aver detto di no all’Inter la sua squadra del cuore. Aveva dato la parola al Verona del presidente Garonzi e la parola per Zigoni era sacra. Il grande Zigo da Oderzo, in provincia di Treviso, la vita se l’è bevuta tutta d’un fiato. Adesso osserva il calcio di oggi con occhio critico. Non gli piace granché: “Seguo le partite ma mi stanco in fretta e spengo la tv. Troppi schermi, troppa tattica e nessuno, o quasi, che azzarda un dribbling, la mia specialità”. Zigoni è passato alla storia per quel 5-3 del 1973 che condannò il Milan e permise alla Juventus di vincere uno scudetto insperato. La fatal Verona, qualcuno dei suiveurs più anziani ricorderà. Anche a Genova una svolta Un rigore fallito contro la Roma e ea fine stagione – era il 1965 -la retrocessone in serie B. “Meritavano di salvarci, ma successe di tutto. Sbaglia quel rigore però mancavano ancora 7/8 giornate al termine e avremmo potuto riprenderci. Purtroppo perdemmo in casa col Varese e buonanotte”. Dice che Genova e il Genoa gli sono rimasti nel cuore: “Sarei potuto tornare come uomo-spogliatoio a fine carriera, il mio grande amico Gigi Simoni lasciando Brescia mi propose di seguirlo. Dissi di no, ma non sapevo che sarebbe andato al Genoa. Altrimenti avrei accettato di sicuro”.
Zigoni senior oggi ha un cruccio ce l’ha. Quel figlio calciatore che non riesce a trovare una squadra. “Eppure è un ragazzo serio, applicato. Tiene moltissimo a giocare al calcio, a differenza di me che prendevo tutto alla legger. Non capisco, Gianmarco ha segnato un’ottantina di gol, è un centravanti da area di rigore, cede la porta, è forte di testa. Non mi capacito come nessuna squadra di serie B pensi a lui. Ha appena 30 anni. Si vede che non è nei giri giusti…”, sospira. Gianmarco Zigoni ha seguito le orme paterne. Centravanti di ruolo. Di piede preferibilmente destro. Un granatiere di quasi un metro e novanta, tutta un’altra pasta rispetto al padre, che col pallone ricamava arabeschi mancini. Zigoni jr nonostante la statura ama il gioco palla a terra e dà il meglio di sé nei sedici metri. “Mi piace dialogare con i compagni e puntare la rete”, racconta dalla sua casa di Treviso. Alla boa dei trenta Zigoni junior ha alle spalle una carriera da globetrotter. Treviso, Triestina, Mantova, Ravenna, Modena, Novara, Avellino, due effimere incursioni con la maglia rossonera del Milan, Pro Vercelli, Frosinone, Monza, Spal, Venezia. Un’insalata russa. “A Ferrara mio figlio era un idolo dei tifosi. Ogni volta che segnava, e segnò parecchio, la gente in tribuna mi abbracciava…”, ricorda il papà. La Spal raggiunse la promozione in serie A, Gianmarco sperava di essere riconfermato. Invece riprese la vita da giramondo del pallone.
Ultimo tesseramento per il Venezia che però lo ha messo fuori lista. “Non gioco da maggio una gara ufficiale – racconta Zigoni junior – ma mi sono sempre allenato e farei in fretta a riprendere il ritmo-gara. Ora attendo una proposta che mi dia una scarica di adrenalina. Non sono fatto per vivacchiare, cerco sempre nuovi stimoli”. Il suo procuratore, Luca Pasqualin, è al lavoro per trovargli una sistemazione. Rimpianti? “Uno solo. Non essere riuscito a sfondare col Milan. Mi acquistò dal Treviso che avevo appena 18 anni. Era la squadra di Ronaldinho e Inzaghi, per farvi capire chi avevo davanti. Esordii in serie A nel marzo del 2010, entrai l’ultimo quarto d’ora al posto di Inzaghi. Era un Milan-Lazio, finì 1-1 con gol di Borriello e Lichtsteiner. Un’esperienza indimenticabile. Cosa darei per tornare indietro a quei giorni… Giocare a San Siro accanto a quei campioni…. Purtroppo fu l’unico spezzone che feci in serie A. Era il Milan di Leonardo che finì al terzo posto. L’anno successivo arrivò Ibrahimovic e io cominciai il mio pellegrinaggio per l’Italia. Prestiti e ancora prestiti. La stagione migliore a Ferrara, quella della promozione della Spal in serie A. “Sarei rimasto volentieri, ma le circostanze non mi aiutarono”. Papà Gianfranco lo tiene sotto stretto controllo, assiste ad tutte le sue partite “e mi corregge quando commetto degli errori”. Inutile fare paragoni. Padre e figlio sono calciatori differenti. Anche il calcio è cambiato radicalmente.” Quando nacqui papà aveva già appeso le scarpette al chiodo e quindi non l’ho mai visto giocare. Mi raccontano che fosse davvero un attaccante imprevedibile col pallone fra i piedi. Io sono più tranquillo, in campo e fuori. Diciamo che sono un calciatore standard…”.