Zeman vota Conte:| Metà degli allenatori no
Metà dei colleghi non l'ha votato. Ma per l’allenatore Juve c'è stato il plebiscito del corso di Coverciano: «Studiamo la sua squadra».
Hanno votato Antonio (non tutti).
«Vota Antonio» (Conte) era preferenza quasi obbligata nell’urna della Panchina d’oro, per uno che aveva riconsegnato alla Juve scudetto e supercoppa, dopo cinque anni di carestia e due settimi posti filati. Non è invece stato plebiscito, se tra i 62 votanti, allenatori di serie A e B, meno della metà (32, compreso Zeman però) hanno indicato lo juventino come miglior tecnico del 2012. In un certo senso, è un’altra missione compiuta, rispolverando uno degli spot che ne accompagnarono l’arrampicata: «Sbrighiamoci a tornare antipatici: chi vince lo è». Pure così s’avviarono i paragoni con José Mourinho, un altro che tra colleghi riscuoteva più stima che simpatia: difatti, nel 2009 a Coverciano non lo premiarono, e lui se ne andò. E l’anno dopo, quello del triplete, vinse con risicata maggioranza relativa (11 voti su 29), quando il non preferirlo sarebbe stato da accompagnamento con gli infermieri. Conte, cui poco sfugge, dal palco ha avuto bon ton hollywoodiano: «Per questo premio ambitissimo, per chi fa la nostra professione, ringrazio chi mi ha votato, e chi no. È un riconoscimento che mi spinge a cercare di migliorare sempre». Nel ramo vittorie, s’intende, perché l’indole resterà quella: testa da studioso allenatore, cuore ultrà. Come direbbe Andrea Agnelli, suo presidente, «contro tutto e tutti», quando c’è di mezzo la Juve, «o i miei ragazzi». Presente Parma, un annetto fa, in piena bufera? «Se un arbitro deve fischiare a favore della Juve, prima si fa il segno della croce». O nel duello a distanza con Allegri, la scorsa stagione, che pure faceva parte della strategia: «Ancora il gol di Muntari? Che noia...». Tutto il resto, per Conte è lavoro: «Stiamo costruendo qualcosa - ripeteva ieri il tecnico - perché si può vincere e non costruire, o anche il contrario». È un percorso di crescita, insiste, e per questo, prima di Roma-Juve aveva chiesto a ogni giocatore se se la sentisse o no, fisicamente e mentalmente, dopo lo sforzo della Champions: «Significa responsabilizzare ancora di più i calciatori, portarli a diventare vincenti». La sua ossessione: «Sconfitta è proprio una parola che non mi piace», ha aggiunto ridendo. Anche se quando si perde, non c’è proprio nulla da ridere: «Le sconfitte vanno vissute nel modo giusto, masenza sorrisi perché perdere non deve mai farci piacere». Manon è per castigo che stamattina ha messo la sveglia dei giocatori all’alba, con ritrovo a Vinovo, ore 8: «Dobbiamo fare dei test - ha spiegato quindi è stato azzardato dire che è una punizione. Perché non c’è da punire questi ragazzi, anzi, è grazie a loro se sono stato premiato. Grazie a loro se ho vinto lo scudetto». Qualche richiamo e ripetizione però ci saranno, nello spogliatoio: «Preferisco non parlare mai dopo la partita, a caldo non penso sia la cosa giusta. Quindi ci confronteremo ora, così come facciamo sempre e valuteremo i pro e i contro della partita con la Roma, sapendo che possiamo fare meglio». Ma con l’orario non si scherza comunque, ha ricordato il campione di poker Luca Pagano, a Vinovo per uno spot: «Alla fine i giocatori sono corsi in campo alcuni minuti prima del previsto: hanno spiegato che Conte pretende la massima puntualità, e guai a chi sgarra». E pazienza se metà dei colleghi non l’ha votato, perché alla fine Conte un plebiscito l’ha riscosso, tra gli allievi del master di Coverciano: «Complimenti mister, noi studiamo la sua Juve».