Zazza: il dodicesimo uomo in campo
Da lui pretendi l’amore eterno. L’atto di fede. In nome del passato (lui c’era), del presente e del futuro che chissà se… Gli chiedi di sostenerti sempre e comunque. Soprattutto quando le cose vanno male. Lo inviti a seguirti anche in trasferta e molto spesso gli regali il biglietto. Lo fai retrocedere insieme a te, e più di te. Lo ascolti. Lo stuzzichi. Lo blandisci. Lo temi. Di solito fai come ti urla: tagli la testa all’allenatore o al giocatore che lui non vuole più. Lo porti in sede, al campo d’allenamento, a cena, se càpita. Al fallimento. Tu te ne vai, lui no. A fine partita l’ultimo applauso della squadra è per lui.
Talvolta il dodicesimo uomo in campo non riesce più e controllare il ruolo che gli hai assegnato: si sente il depositario dei valori, della passione più genuina, il titolare della maglia, il garante dei colori sociali e se gira malissimo si ribella. E allora diventa il problema, il limite, il danno, il tumore da estirpare.
Negli stadi italiani ne resterà solo uno, tra poco. E sarà lui.