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Zanetti si racconta da dirigente: 'Inter e City hanno armi economiche diverse. Serve un piano strategico, è la sfida'
L'ARRIVO ALL'INTER - "Ero giovane, avevo delle paure e il mio salto è stato grandissimo, dal Banfield all'Inter, ma l'ho vissuto perché era la mia grande occasione. Appena arrivato all'Inter ho detto: "Devo fare il possibile, prima, per restare". Perché in quel momento potevano giocare tre stranieri e l'Inter aveva portato Rambert, Paul Ince, Roberto Carlos. Ero il quarto... Ma mi sono posto l'obiettivo di restare".
ESORDIO - "Ho cominciato ad allenarmi, il mister ha cominciato a piacermi, finché un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: 'Guarda, tra 15 giorni esordiremo con il Vicenza per il campionato e tu giocherai a destra e Roberto Carlos al sinistra". Ed è lì che ho iniziato. Era Ottavio Bianchi che era stato l'allenatore di Diego al Napoli. La paura era sapere se ero pronto per il grande salto".
DIRIGENTE - "Per essere un leader devi prepararti. Quando mi hanno detto che sarei diventato vicepresidente dell'Inter ero felice ma allo stesso tempo sapevo che era una grande responsabilità. Stavo partendo da zero. Il calciatore era rimasto nel passato. Per questo mi sono iscritto all'università e sono tornato a studiare. Non puoi pensare di essere un buon dirigente perché sei stato un grande calciatore. Volevo essere un dirigente con una visione a 360 gradi. E sono andato all'Università Bocconi per studiare Sport Mangment per formarmi in marketing, finanza, relazioni internazionali e management sportivo. Perché questo amplia le tue conoscenze e ti senti utile in altre aree del club".
MODELLO DI BUSINESS - “Competere con il Manchester City? È vero che le armi sono diverse. Ma tutti devono rispettare la storia del club. Quando hai un piano strategico ben definito, devi rispettarlo e portarlo a termine. È una bella sfida. La grande sfida di tutti i club del mondo è la sostenibilità e si lavora per questo".