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    Violamania: il bilancio sull’ambizione, Commisso e una scelta impopolare. Ma è così che l’Atalanta è diventata grande

    Violamania: il bilancio sull’ambizione, Commisso e una scelta impopolare. Ma è così che l’Atalanta è diventata grande

    • Federico Targetti
    Nessun tifoso della Fiorentina avrebbe voluto vedere Vlahovic andarsene a gennaio, tantomeno alla Juventus che era, a tutti gli effetti, una diretta concorrente per l’Europa League. Era, perché è da pazzi pensare che la squadra di Italiano possa metabolizzare senza problemi una perdita del genere, e che i bianconeri non accelerino di conseguenza. Il peso dell’attacco viola, almeno per i primi tempi, dovrebbe essere destinato a ricadere sulle spalle di Piatek, che a Cagliari non è parso ancora dentro il meccanismo gigliato. E’ chiaro che l’accesso alle coppe europee non rappresenta una priorità per Commisso. Almeno non adesso.
     
    SALVIAMO CABRAL E CAVOLI – Chiesa e Bernardeschi li potevamo anche capire: sono andati alla Juventus in momenti in cui i bianconeri spadroneggiavano in lungo e in largo in Italia, rifiutando altre destinazioni perché avevano la certezza di andare a concorrere per lo Scudetto e per la Champions League. Vlahovic invece si aggrega ad una squadra che, per quest’anno, è già tanto se arriva a strappare il pass per la coppa dalle grandi orecchie. Il salto di qualità, comunque, arriva lo stesso, è innegabile, e c'è tutto il tempo per ricostruire, a 22 anni. Ne deve mangiare ancora, di pastasciutta, la Fiorentina, prima che qualche giocatore metta sotto scacco un’altra società pur di trasferirsi in viola. Trovandosi dall’altra parte del guado, Pradè e soci hanno fatto il possibile per uscirne nella maniera migliore. La promessa del 5 ottobre, “trovare una soluzione entro breve” è stata mantenuta, e il pagamento, pur dilazionato in tre anni, andrà subito a bilancio trattandosi di un acquisto a titolo definitivo. La gestione del caso a livello comunicativo ha destato qualche polemica, soprattutto tra i tifosi stanchi di rivedere sempre lo stesso film in loop, ma ha costretto Vlahovic ed il suo clan ad uscire allo scoperto. E contemporaneamente al serbo faceva le visite mediche anche il suo sostituto, Cabral, che adesso dovrà convivere con i paragoni quotidiani. Ma almeno è stato la prima scelta, e almeno adesso a Firenze ci sono due attaccanti credibili. Basteranno per farne dimenticare uno incredibile? Probabilmente no, eppure, anche se il fenomeno in campo è andato, rimane pur sempre quello in panchina.
     
    TUTTI PER TUTTI – Prima era tutti per uno: 17 reti su 41 totali, con il secondo marcatore, Biraghi, a quota 4 grazie ai piazzati. I numeri di Vlahovic impongono un cambio di mentalità alla squadra, a meno che Cabral non si riveli il nuovo Adriano o che Piatek non torni quello dell’autunno del 2018. Adesso centrocampisti e ali dovranno farsi carico ognuno di parte del peso che l’ex centravanti sosteneva da solo, per dimostrare che, sì, Vlahovic era il terminale offensivo, ma i suoi gol erano più merito dell’impianto che gli stava alle spalle che delle sue doti spiccate di bomber. Tutto da vedere, perché quel ragazzo segnava anche con il non-gioco di Iachini, a volte inventandosi da solo situazioni da gol. Ma quest’anno la squadra gioca, e anche un 9, diciamo così, normale può beneficiarne al massimo. Altrimenti c’è sempre il modello Atalanta versione 1.0: Petagna unica punta, ma i gol li facevano gli altri.
     
    MODELLO DEA – In tempi non sospetti, Commisso aveva fatto notare che il percorso di crescita dell’Atalanta aveva richiesto circa cinque anni prima di dare i primi risultati. E anche allora, aggiungiamo noi, l’esodo dei giocatori migliori non si è fermato, partendo da Gagliardini e Conti, passando per Kessié e Romero, fino ad arrivare all’ultimo Gosens all’Inter. Il problema, quindi, non è far partire i giocatori migliori per cifre astronomiche (80 milioni bonus compresi per un giocatore che scade fra 18 mesi sono un’enormità), ma avere la sagacia di sostituirli con altri meno reclamizzati, capaci di ripercorrerne le orme in maniera anche migliore, mentre va definendosi un’identità di squadra nettamente riconoscibile. Ci arriveremo? La palla passa ora a Cabral, l’uomo di Burdisso.
     

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