Violamania: adios Pizarro
Non è una notizia banale il mancato prolungamento di Pizarro col sodalizio guidato dalla famiglia Della Valle perché, seppur accolto con scetticismo nell’agosto 2011, quando sbarcò all’ombra del Duomo del Brunelleschi reduce da una stagione quasi anonima nel City, da un’altra altrettanto ondivaga come rendimento nella Roma, e bocciato dall’allora idolo delle folle giallorosse, Zdenek Zeman, a passi felpati, come la sua falcata sul campo di calcio, a colpi di lanci millimetrici, aperture sensazionali ed assist a catena, il ragazzo cresciuto nei Santiago Wanders è entrato nei cuori dei tifosi gigliati, anche quelli più scettici, come quelli che occupano solitamente i posti nella Maratona del Franchi, settore dello stadio di Firenze famoso perché vi vanno a convogliare i supporter più brontoloni, quelli a cui non va mai bene niente, quelli che saprebbero loro il modo giusto come allenare e far giocare la Fiorentina, quelli che hanno un passato da calciatore o da tecnico fallito, per sfortuna o perché le circostanze non gli sono state favorevoli, che passano i 90’ di gara più ad offendere gli atleti con la maglia viola, che a sostenerli.
Pizarro, al netto di una velocità non sempre eccelsa, ma sfruttando un campionato di serie A in cui il capocannoniere ed una delle stelle assolute del torneo, sono over 30 come lui, rispettivamente Luca Toni e Francesco Totti, ha incantato ogni volta che ha giocato con la divisa gigliata addosso. Ed ogni volta che ha sbagliato, indimenticabile un assist…all’avversario Montolivo, poi ha rimediato, rigore decisivo per il due a due finale. La Fiorentina montelliana tre volte quarta in campionato è stata anche e soprattutto lui, e quando Pasqual e compagni hanno fallito qualche gara, è perché lui non era al meglio, o non c’era proprio, come l’andata contro il Siviglia in Europa League, o il ritorno in Coppa Italia contro la Juventus, tanto per ricordare gli ultimi mesi.
Paulo Sousa ha deciso di rinunciare ad uno degli ultimi architetti dei palazzi del bel calcio rimasti in Italia, uno che ci ha sempre sentito per i colori viola e che ha messo in scena gesti che rimarranno scolpiti nella memoria di tutti, come quello delle manette dopo un Fiorentina-Napoli, per protestare contro l’arbitro Calvarese negò un evidente rigore per fallo su Cuadrado, espellendo addirittura il gioco colombiano per simulazione, o gli ultimi 10’ fermo a centrocampo in un Pescara-Fiorentina di tre anni fa, quando dopo la notizia del due a uno del Milan a Siena, annusò che il calcio italiano aveva favorito l’approdo dei rossoneri in Champions League.
Se fossi stato io a decidere, non solo avrei fatto rinnovare il contratto a David Pizarro, ma ne avrei comprati almeno altri dieci come lui. Uno che ci ha sempre messo le bolas, e non si è mai tirato indietro, uno dei pochi veri leader nello spogliatoio gigliato, un poeta che ha cantato calcio, ed anche dimostrato di saper portare la croce. Fra poche ore la Fiorentina gli dice addio, e sembra farlo a cuor leggero, così come non ha mai voluto comprarsi un degno sostituto, tale da far si che il Pek fosse più fresco e pronto nei match decisivi. Da domani Firenze si scopre più povera, e così anche il calcio italiano ma non c’è da stupirsi se Pizarro lascerà la scena fra l’indifferenza generale. In un mondo del calcio che è lo specchio della società, non c’è riconoscenza per i veri autentici artisti e per le persone vere. Caro Pek tu lo sei stato, e per questo bisogna dirti: ‘Grazie di tutto, suerte’.