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    Vincere è l’unica cosa che conta: ecco perché all'estero nessuno vuole Allegri

    Vincere è l’unica cosa che conta: ecco perché all'estero nessuno vuole Allegri

    • Giancarlo Padovan
    Credo di avere capito perché Massiliano Allegri, uno dei migliori allenatori italiani in attività, non abbia mercato all’estero. E’ strano, infatti, che un tecnico tanto vincente (tre scudetti e tre coppe Italia), che si è fatto notare per aver conquistato ben due finali di Champions League, lasci tiepidi o freddi i club più importanti al mondo. Giustamente si dirà che la Juve è uno di questi (lo è in effetti, come dimostrano la storia e i titoli), però esiste anche un’anomalia se un tecnico nel pieno della maturità, ambizioso e con il fisico del ruolo, non suscita l’interesse delle società inglesi o di un Paris Saint-Germain che, in Champions, non ha mai fatto tanta strada quanto ne imponevano gli investimenti tecnici.

    Svolgo questo discorso perché esistono alcuni casi molto illustri e del tutto diversi. Per esempio Roberto Mancini che, dopo l’Inter, è stato ingaggiato dal Manchester City (vinse un titolo) e oggi, dopo il Galatasary e, di nuovo, l’Inter, allena lo Zenit di San Pietroburgo e, si dice, potrebbe essere nel mirino proprio del Psg. Può darsi che Allegri stia bene in Italia e altro non chieda che rimanervi fino alla fine della carriera. Può darsi che non conoscere bene una lingua straniera costituisca un handicap insormontabile. Può darsi che le sfide da vincere con la Juve non siano ancora finite.

    Tuttavia mi domando perché qualcuno non cerchi un allenatore che, oltre ad una lunga e progressiva gavetta tra serie minori e squadre medio-piccole, ha allenato in grandi club  (il Milan prima della Juve) vincendo quasi sempre qualcosa di importante (uno scudetto anche con i rossoneri). La domanda è ancora più pressante e legittima se ci si ricorda di come Allegri venne accolto dai tifosi juventini e di quale sia stata negli anni la considerazione che ha saputo conquistarsi presso di loro. Non solo vincendo, tra l’altro, ma anche variando, prima, quel che era stato il sistema di gioco di Antonio Conte e poi letteralmente inventandosi un 4-2-3-1 con l’utilizzo contemporaneo di Higuain, Dybala, Madzukic, Cuadrado e Pjanic. La cosiddetta Juve a cinque stelle che appariva poco equilibtrata solo a chi non ricordava come lo stesso Josè Mourinho, con coraggio inusistato, avesse virato nell’Inter verso quella formula che richiedeva il grande sacrificio tattico di Eto’o.

    Per ultimo - anche se forse è una delle caratteristiche più importanti - va ricordato che Allegri è un grande gestore di uomini, sa farsi rispettare (il caso-Bonucci ne è la prova provata), si merita sempre la fiducia del club dove lavora perché non è mai tentato di invadere im campo altrui: il mercato lo fa il club, il campo è di sua pertinenza. Insomma un perfetto aziendalista che, tuttavia, non ha bisogno di piegare la testa. E’ in grado di operare bene senza mettere in ombra nessuno. Allora perché non è richiesto oltre i nostri confini?

    L’ho detto, credo di saperlo: perché la sua Juventus ha un’identità marcatamente italianista. Ben lungi dall’essere un’offesa o un difetto, molto semplicemente significa che la squadra non gioca un calcio che conquisti l’occhio dell’osservatore internazionale. Nel mondo - dunque non solo in Europa - è sempre più importante come si vince. Perché il calcio - e lo sport in generale - non è solo un agone dove prevalere, ma uno spettacolo attraverso il quale produrre piacere, entusiasmo, emozioni. Lo richiedono gli spettatori che pagano salati i biglietti e gli abbonamenti. Lo vogliono le televisioni che sborsano milioni per fornire un prodotto di livello.

    Tanto per capirci - e senza scomodare per forza Pep Guardiola - Jurgen Klopp, l’attuale allenatore tedesco del Liverpool, ha vinto e probabilmente vincerà meno di Allegri. Eppure è stato grazie al gioco che esprimeva il suo Borussia Dortmund se dall’Inghilterra si sono fatti vivi per ingaggiarlo. Anzi, da quando è arrivato al Liverpool (2015) non ha ancora conquistato un titolo o un trofeo, ma è apprezzato dal vertice del club ed è amatissimo dai tifosi. Purtroppo Allegri non è persuaso di questa visione del calcio. Anzi, se ne fa beffe fino a diventare un ultrà ideologico della versione opposta, quella che Giampiero Boniperti rubò a Vincent Lombardi, coach del football americano: “Vincere è l’unica cosa che conta”, il mantra dei tifosi juventini e, seppur non esplicitato, della società. La prova - se ce fosse ancora bisogno - l’abbiamo avuta dopo la risicata e modesta e insufficiente vittoria sul Genoa, quando Allegri, testualmente, ha detto: “Nel calcio conta solo vincere. Si fanno un sacco di chiacchiere inutili. Sono contento quando si dice che giochiamo male”. Un allenatore così è certamente bravo, ma difficilmente farà strada fuori dall’Italia.

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