Vince il Napoli, vincono la squadra migliore e l'artigiano Spalletti: dalla C al dominio, è lo scudetto della serietà
Mentre il Maradona ribolle ancora dell’entusiasmo dei 60 mila innamorati piazzatisi davanti ai maxischermi e la città è invasa da fiumi di gente giustamente scatenata, Spalletti e i suoi ragazzi si scambieranno baci e stapperanno champagne nel profondo nord che, ieri sera, non ha potuto esimersi dal farsi attraversare da un brivido di commozione. Vedere tanta gente felice piangere e abbracciarsi all’infinito non lascia mai indifferenti chi ama lo sport e quello che significa.
A Udine serviva un pareggio e pareggio è stato (1-1), grazie ai gol di Lovric (14’, destro a giro) e di Osimhen (52’, interno destro, da azione d’angolo). Partita è stata fino a venti minuti dalla fine, quando Silvestri, il portiere dell’Udinese, ha negato il gol a Zielinski, entrato per Ndombele. Poi, come ha detto opportunamente Massimo Ambrosini nel suo commento, l’Udinese ha rispettato la grandezza del Napoli. Non ha smesso di giocare, ma certo non ha più pressato alta, i contrasti sono stati rari e prudenti, qualche fallo è nato più per la volontà di rifiatare che di conquistare palla. Ci sono leggi non scritte che solo chi ha giocato a calcio, a qualsiasi livello, può comprendere. L’Udinese ha fatto un ottimo campionato e davanti a 25 mila spettatori, di cui almeno undicimila tifosi del Napoli, ha strappato un risultato di prestigio ai campioni d’Italia senza regalare nulla. Ma, a venti minuti dalla fine, quando ci si guarda in faccia (e anche l’arbitro Abisso aveva capito) non c’è stato altro da fare che attendere.
Il Napoli non ha vinto lo scudetto con l’1-1 di Udine, ma con un dominio inesausto dall’inizio alla fine del campionato che, peraltro, non sarebbe ancora concluso. La faccenda era già archiviata a gennaio. Dopo, la forbice è diventata sempre più larga. Ha vinto la squadra migliore, non Osimhen (che pure è capocannoniere), né Kvara (che è stata la rivelazione della stagione nella sua funambolica imprendibilità). Ha vinto Spalletti, che, come dice lui, ha aggiustato la squadra dopo cinque partenze che sembravano averla svuotata: Ospina, Koulibaly, Fabian Ruiz, Insigne e Mertens. Spalletti non è un genio, ma un artigiano. Sa il valore del lavoro e della fatica, perciò si è fatto dare un posto a Castel Volturno, dove il Napoli si allena, e ha vissuto, oltre che ai respiri della squadra, anche i respiri della terra. Non solo, non da solo, ma Spalletti è il grande regista del successo del Napoli. Con un altro allenatore, e le premesse della vigilia, questa squadra sarebbe arrivata quinta e non si ritroverebbe, oggi, con valori quadruplicati, calciatori come Lobotka, Anguissa, Di Lorenzo, Rrahmani, Elmas.
Probabilmente se ne andranno Zielinski e Lozano che hanno il contratto in scadenza nel 2024 e, se arriverà un’offerta sopra i cento milioni, anche Osimhen. Ma non c’è da temere. L’importante è che non salutino Spalletti e Giuntoli, chi ha creato valore e chi scoperto talenti a bassissimo costo.
Il Napoli, dunque, non vince solo uno scudetto dominando e giocando il miglior calcio della serie A, ma conquista anche il titolo della sostenibilità, dei bilanci in ordine, del profitto (se ne può fare anche con il calcio se si è bravi), dell’organizzazione, della responsabilità e della serietà. Tutte qualità che oggi non si riconoscono solo ad una squadra di calcio del Sud, ma ad una città e ad un popolo in grado di fare il salto di qualità in tutti i campi. Vincere è bello, a Napoli molto di più.