Calciomercato.com

  • AFP via Getty Images
    Verona-Inter, gli ultras picchiano un giornalista e suo figlio: 'Violenza inaudita, mai più al Bentegodi'

    Verona-Inter, gli ultras picchiano un giornalista e suo figlio: 'Violenza inaudita, mai più al Bentegodi'

    Brutto episodio al termine dell'anticipo di campionato vinto venerdì sera dall'Inter a Verona. Il giornalista e conduttore televisivo Fabrizio Nonis è stato aggredito e picchiato (subendo una perforazione del timpano) insieme al figlio di 22 anni: "Siamo usciti dallo stadio contenti e felici - racconta Nonis al Corriere Veneto - per aver visto una bella partita. Era da due anni che non andavamo allo stadio. Io tifo Inter e seguo con molta simpatia l'Udinese, grazie alla mia attività professionale ho avuto modo di conoscere e frequentare molti giocatori come Andrea Ranocchia e Kevin Lasagna. Li avevo sentiti in settimana ed eravamo riusciti a recuperare due biglietti sotto la tribuna stampa per la prima partita da vedere assieme. Stavamo ricordando l'ultima trasferta al Bentegodi, 11 anni fa, quando la squadra della nostra città, Portogruaro, era in serie B. E di quella trasferta non avevamo un bel ricordo della tifoseria gialloblù. Abbiamo visto che c'era all'angolo un bar dove ci saranno state centinaia di persone, tutte ammassate e senza mascherina che discutevano della partita e bevevano. Ho immaginato che fosse un luogo di ritrovo degli ultrà dell'Hellas e ho preferito dire a mio figlio Simone di fare un giro più largo. Premetto che quando andiamo allo stadio non portiamo mai bandiere, sciarpe ed evitiamo abiti che possano richiamare i colori sociali delle squadre in campo". 

    "Eravamo a meno di 300 metri dall'auto, quando ho visto che un gruppetto di sei, sette persone, si è staccato dal pubblico del bar e ha cominciato a seguirci. Ma non volevo mettermi a correre, anche se avevo una bruttissima sensazione. A un certo punto hanno cominciato a urlare ‘Ehi, tu, ehi voi. Che ore sono?’. Ci siamo fermati e mio figlio ha risposto: ‘Le undici meno dieci’. Erano a un metro da noi. Un uomo fra i 45 e i 50 anni, con il cappellino dell'Hellas in testa mi ha chiesto ‘Che c.. ci fate qua’. A quel punto ho pensato che forse sarebbe stato meglio rispondere in dialetto, così da far capire che eravamo veneti anche noi e ho risposto che eravamo venuti a vedere la partita. ‘Che squadra tifate?’ mi ha detto l’energumeno. Ho detto che non tifavo per nessuna squadra, ma lui mi ha incalzato e allora ho detto che avevo simpatie per l’Udinese". 

    "Non ho fatto in tempo a pronunciare il nome della squadra friulana che mi sono trovato a terra. Quell’uomo mi aveva colpito con un pugno in pieno volto che mi ha fatto perdere l’equilibrio. ’Che cosa fate?’, ha urlato mio figlio. E via una sberla anche a lui, finito a terra come me.
    Gli altri, tutti con t-shirt o polo o cappellini dell'Hellas si erano messi a cerchio per bloccare le vie di fuga. Noi, cadendo, eravamo in mezzo a due auto parcheggiate. E lì hanno cominciato uno dopo l'altro a darci calci. Ai fianchi, alle gambe, al volto. Le auto un po’ ci proteggevano. Io con le ultime energie che avevo ho urlato: ’Ma che state facendo, siamo veneti anche noi’ per fugare ogni dubbio che appartenessimo alla tifoseria della squadra avversaria. E giù altri calci". 

    "Non so come, ma siamo riusciti ad alzarci e infilandoci tra le auto, abbiamo attraversato la strada. E quasi sono stato investito da un'auto di passaggio. Abbiamo raggiunto la nostra automobile e lì è arrivata la seconda dose. Pugni e calci, sberle a mio figlio, a cui hanno schiacciato il volto contro il cofano. Sono stati dieci, quindici minuti di terrore. Poi non ho capito che cosa è successo, un anziano è sceso dal suo appartamento o forse era di passaggio e ha chiesto che cosa stesse accadendo, loro si sono fermati e si sono allontanati un po’. Così abbiamo avuto qualche secondo di liberà, il tempo di entrare in auto, bloccare le porte e partire. Abbiamo fatto qualche centinaio di metri, poi ci siamo fermati e ho chiamato il 118". 

    "In ospedale sono arrivati anche gli agenti della questura e della Digos
    , che mi hanno riconosciuto, cosa che, invece, escludo abbiano fatto i tifosi, anche se sarebbe più corretto chiamarli delinquenti. Volevano picchiare per fare male, hanno lasciato stare chi si allontanava dallo stadio in gruppo e hanno beccato due persone non con corporatura robusta che passavano per strada. La nostra fortuna è stata quella di non reagire. E va anche aggiunto che nessuno è intervenuto in nostro soccorso anche solo per chiamare la polizia". 

    "Questa partita era importante, con mio figlio avevamo detto che sarebbe stato bello adesso che si può andare a seguire anche il Venezia, oltre all'Udinese. Invece di una cosa sono sicuro. Allo stadio di Verona non ci torno più, amo questa città, avevamo anche cenato in una pizzeria vicino a San Zeno per andare a salutare l'amico chef Giancarlo Perbellini. Ma non è possibile vivere un'esperienza simile". 

    Il sindaco di Verona, Federico Sboarina commenta: "Condanno ogni tipo di violenza, che per nessun motivo è accettabile. Ancora più intollerabile se fatta nei confronti di un padre con un figlio, fuori dallo stadio dopo aver assistito a una partita in serenità. Nessuno può permettersi di minare la sicurezza di chi vuole godersi uno spettacolo sportivo, a maggior ragione con atti di violenza gratuita verso due persone tranquille che non avevano fatto alcuna provocazione e tornavano alla loro macchina. Ho già chiamato Fabrizio Nonis per rappresentargli il dispiacere per l’accaduto e la solidarietà mia e della città, invitandolo a tornare. Mi ha ribadito di essere un amante di Verona perché la reputa una delle più belle città d’Italia e dove ha tanti amici". 

    Il club del presidente Maurizio Setti ha preso posizione attraverso un tweet: "Hellas Verona FC censura con sdegno e fermezza qualsiasi atto di violenza o intimidazione, ovunque e da chiunque esso venga perpetrato, esprimendo massima solidarietà al signor Nonis e al figlio". 

     

    Altre Notizie