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Venezia in finale a Cittadella: da Valentino Mazzola al Chino Recoba, ma gli stadi non sono da Serie A
Cittadella conta poco più di 20.000 abitanti (se dovesse salire in A diventerebbe la città con meno abitanti nella storia del campionato) è un borgo fortificato, si è sempre sentita - calcisticamente - periferia di Padova, sorella minore del club biancoscudato. Negli anni d'oro del Padova di Rocco (i ’50), il Cittadella manco esisteva, i club cittadini erano due, la Cittadellese e l'Olimpia, che battagliavano nei dilettanti fino a fondersi nel 1973, con (ri)partenza dalla Promozione. La prima volta tra i professionisti è datata 1988-89, con la conquista della C2, mentre la prima promozione in B risale a soli tredici anni fa, il 2008.
Il Venezia ha una storia più antica (fondato nel 1907), anche se non poco turbolenta (tre fallimenti, due fusioni, nove cambi di denominazione), vanta 12 campionati in Serie A (l'ultimo nel 2001-02), in bacheca ha una Coppa Italia (1941) e ha visto fior di campioni vestire la sua maglia, Valentino Mazzola e il Chino Recoba i più prestigiosi.
Il nome del Cittadella è legato indissolubilmente a quello della famiglia Gabrielli, ramo siderurgico. Angelo Gabrielli fu il primo presidente, da un decennio alla guida c'è il figlio Andrea. Parole d'ordine: tradizione, continuità, solidità.
A Venezia invece tutto cambia nel breve volgere di qualche stagione, tra sogni di gloria e delusioni clamorose. L'equilibrio societario non abita in Laguna. Con la gestione Zamparini (15 anni tra il 1987 e il 2002) la società si è modernizzata, ma da allora è stato un tourbillon di cambi di presidenza: oggi al comando ci sono gli americani, con Duncan Niederauer a guidare la cordata.
Da quando è tornato in Serie B (2016) il Cittadella si è sempre qualificato per i play off, per questo non si può parlare di sorpresa: nel 2019 - nell'altra edizione del derby veneto col Verona - è arrivato ad un soffio dalla A: 2-0 all'andata, 0-3 al Bentegodi al ritorno. La crescita della squadra è riconducibile al lavoro di uno dei tecnici più sottovalutati d'Italia, Roberto Venturato, 58 anni, figlio di emigranti venti, nato in Australia ma cresciuto a Cremona, ex promotore finanziario, alla Sarri per intenderci, calciatore di categoria, la C.
Il collega che siede sulla panchina del Venezia - Paolo Zanetti - è pure lui veneto (vicentino di Valdagno), ha conosciuto la Serie A (Vicenza, Empoli, Ascoli, Torino e Atalanta: giocava mediano) e l'anno scorso - dopo un ottimo biennio al Sudtirol in Serie C - è stato esonerato dall'Ascoli. A Venezia ha trovato la sua rampa di lancio, viene considerato uno dei più promettenti tra gli allenatori emergenti e - sicuro - in A prima o poi ci finirà. Non ha ancora quarant'anni, il futuro è una carezza.
Le due tifoserie si guardano con relativa indifferenza. Chiariamo: la sfida non viene sentita come un derby. La rivalità del Cittadella è con il Padova, anche se i padovani snobbano i cugini e considerano quella con il Vicenza la vera contesa. D'altro canto per i veneziani l'unico derby vero è quello della "Serenissima" contro il Treviso.
Infine: gli stadi. Questione spinosissima. Dopo quelli di Entella e Pordenone, gli impianti di Cittadella e Venezia sono i più piccoli della Serie B, con poco più di 7000 posti. In caso di promozione - a meno di una deroga - il Tombolato e il Penzo non sono a norma. Per il Cittadella l'ipotesi è il trasferimento all'Euganeo di Padova, più complicata la questione del Venezia: Udine, Trieste e Ferrara le tre soluzioni - tutte sgradite ai veneziani - a fronte di una promozione.