Prandelli e Balotelli, gli eroi negativi dell’ultimo Mondiale, si sono appena accasati all’estero con stipendi raddoppiati. Pur non essendo dei fenomeni, sono delle icone: uno del buonismo e l’altro del cattivismo. Il loro è solo l’ultimo esempio di una tendenza universale che privilegia l’immagine alla bravura, i venditori di forma ai costruttori di sostanza. Nello sport il modello, anzi il fotomodello irraggiungibile rimane Beckham: uno che ha guadagnato il triplo di Maradona senza valerne la metà, supplendo con l’avvenenza fisica e le giuste frequentazioni alla cronica mancanza di vittorie e di talento. Dal cinema alla musica, dalla politica alla finanza, ma in realtà in qualunque ambiente di lavoro, gli uomini e le donne «di relazione» prevalgono su quelli «di prodotto».
Le energie che gli altri, i perdenti, mettono nell’attività specifica, essi le concentrano sulla comunicazione. Godono di una fama immeritata ma luccicante e le loro banalità, pronunciate sempre nel luogo o sul «social» giusto, oscurano le manifestazioni di intelligenza di chi fatica nell’ombra. Hanno compreso che, in un mondo superficiale e distratto, nessuno ha più l’interesse e forse la capacità di valutare le competenze, mentre ci si lascia volentieri ammaliare dai contorni di una persona che ciascuno potrà poi riempire come vuole. Un mio amico li chiamava «bravi a prescindere». La loro filosofia di vita fu riassunta in modo scherzoso ma definitivo da un attento osservatore della categoria, Carlo Rossella, quando si congedò da un pranzo con queste parole: «Torniamo al lavoro… Tutto tempo sottratto alla carriera».
Massimo Gramellini per La Stampa