USA (e getta): gli americani trattano il Toro!
Il calcio italiano non interessa solo a DiBenedetto.
Trattativa segreta per il Toro, ma Cairo rifiuta gli americani.
Soave Enterprises è una holding Usa che fattura 1,5 miliardi di dollari. Da un anno tratta l'acquisto del club granata. Il patron spara alto: 50 milioni. Libero di non vendere: ma non mancavano i compratori?
Per trattare la possibile cessione del Toro, intenzione da lui sbandierata ai quattro venti, Urbano Cairo ha sempre posto precise condizioni: interlocutori seri, qualificati, liquidi e che non facessero la trattativa sui giornali, ma per vie ufficiali. Cioè con lui direttamente. Li ha trovati, si è seduto con loro, li ha blanditi e stuzzicati e poi li ha messi in fuga (l'ultima volta non più tardi di dieci giorni fa) sparando richieste troppo esose per il valore del Toro. Soave Enterprises: ecco il nome del gruppo americano che dallo scorso autunno ha messo nel mirino il club granata. Fondato nel 1961 da Tony Soave, evidenti radici italiane, ma nato a Detroit, Soave Enterprises ha una partecipazione in decine di aziende, un portafoglio che va dai servizi industriali al riciclaggio di metalli, dalla grande distribuzione di bevande alle costruzioni, dal mercato immobiliare al settore automotive. Il tutto per un fatturato che l'home page del gruppo cita con grande orgoglio: 1,5 miliardi di dollari. L'intenzione del tycoon americano sarebbe stata quella ampliare il ventaglio degli investimenti: già piuttosto variegato, mancava però di un brand sportivo.
Un rapido giro delle società europee con un certo bacino di utenza e con un possibile e attraente business degli stadi (la costruzione e la conseguente gestione) faceva del Toro il club ideale da puntare. Scelta avvalorata dalla «inequivocabile» voglia di Cairo di passare la mano. Rispetto a precedenti trattative il presidente granata non ha bollato come irricevibile la richiesta americana di sedersi intorno al tavolo. Gli emissari italiani del gruppo hanno ricevuto un trattamento che altri si sarebbero sognati: l'accesso agli uffici della Cairo Communications a Milano. In autunno inoltrato il primo contatto. Scontata la richiesta: «Vogliamo vedere i libri contabili». Respinta (tanto per cambiare) da Cairo. Tira e molla lungo qualche mese, poi gli americani passano al sodo: «Va bene, quanto vuole per il Toro?». Cairo mira in alto: «40 milioni», la risposta che gli intermediari hanno riportato, non senza imbarazzo, alla casa madre.
Business sarà pure business, ma il Toro non ha uno stadio nè un centro sportivo di proprietà, possiede un parco giocatori dal numero e dal valore ridotto (il quasi deserto dietro Bianchi e Ogbonna) e in più sta in serie B. Soave Enterprises dopo due conti, aveva fissato l'asticella dell'offerta a 25 milioni. Cifra talmente calzante al valore del club (secondo le loro stime) da essere stata bloccata in una banca milanese. Nei cassetti c'era un piano immobiliare (stadi, Filadelfia compreso, e centro sportivo), e uno tecnico: gli uomini erano già stati scelti e, dai sondaggi effettuati, sarebbero stati graditi alla piazza granata. Insomma, una rivoluzione.
Cairo ha preso tempo e tirato la corda fino a giugno: scambi di mail, un altro paio di incontri a Milano, ma da quaranta milioni il presidente non si è mai mosso. Stop alle trattative e goodbye degli americani. Gli impegni presi con lo staff tecnico-dirigenziale (sulla parola) sono diventati illusioni e pareva fosse finito tutto qui. Ingoiata la mancata promozione, alzato la solita barricata («Io venderei, ma a chi?»), il presidente granata ha resettato delusioni e trattative: in un amen ha cambiato allenatore, imbastito il mercato rispettando scadenze e promesse (fatto insolito), lanciato una succosa campagna abbonamenti a prezzi stracciati e riscattato pure la propria immagine. Diavolo di un uomo: che non si sarebbe abbattuto ci avremmo scommesso, l'ottimismo è la benzina della sua vita, che non avrebbe venduto al gruppo rappresentato da Proto anche (e come dargli torto), ma che avrebbe resistito persino all'avanzata americana proprio no. Perché, e qui sta il colpo di scena finale, non meno di dieci giorni fa, mr Tony Soave è tornato di nuovo all'attacco.
Un altro contatto, ma Cairo, reduce da una campagna di luglio muscolare, l'avrebbe sparata ancora più grossa: volete il Toro? Fanno 50 milioni con il club in B e 70 invece in caso di serie A. Risposta ovviamente negativa e di nuovo tanti saluti. Adesso forse Cairo smentirà (e magari lo farà anche il gruppo di Detroit che ha zero interessi nel confermare una trattativa saltata), ma i fatti sono questi. E ora una cosa è certa: da presidente, Cairo ha tutti i diritti di tenersi il Toro, almeno, però, non dica più che mancano gli acquirenti con cui trattare. Fine della sceneggiata.