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    Una rosa rossa per Catherine Spaak, la ninfetta che si fece rivoluzionaria

    Una rosa rossa per Catherine Spaak, la ninfetta che si fece rivoluzionaria

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Quella frangetta bionda che soffiava via, di tanto in tanto, per mostrare due occhi furbi e curiosi. Lo sguardo che si è spento, l’altra notte a Roma, a significare la partenza verso l’infinito di Catherine Spaak. Morte prematura, settantasette anni, ma in un certo senso liberatoria dopo l’emorragia cerebrale che l’aveva colpita due estati fa.

    Ed era fine estate quando, come tutti i ragazzini della mia generazione di sognatori, presi una “scuffia” da rintronare per quella fanciulla la quale, con la maglietta addosso che si vedeva tutto, sembrava uscita direttamente dalla copertina di un disco di Baglioni. Nel buio del cinema era comparsa come un angelo per sconvolgere l’esistenza del maturo ingegnere Ugo Tognazzi e di noi spettatori in sala. Si chiamava Francesca e, con il film di Luciano Salce “La voglia matta”, esordiva nel rutilante mondo dello spettacolo. Fu amore a prima vista. In camera, tra il poster del Che e quello di Sivori, appesi il suo.

    Ebbi la sfrontatezza di confessarglielo, tantissimi anni dopo, nel back stage degli studi televisivi dove veniva registrata “Harem”, una tra le trasmissioni più trasgressive e rivoluzionarie tutta dalla parte delle donne Una “serie” che aveva inventato lei, un poco stanca del cinema e molto attratta dalla sua vera passione rappresentata dal giornalismo di inchiesta, e che aveva faticato un bel po’ per imporla nei palinsesti. Un successo che durò ben dodici anni. “Signora, per anni lei ha popolato i miei sogni notturni”, le dissi un poco imbarazzato con Ornella Muti che stava lì ad ascoltare. Come risposta ottenni una risata cristallina e sincera. Degli uomini, dopo quattro matrimoni, non ne poteva più.

    Era ancora bellissima. Una bellezza particolare. Non dirompente. Come il suo fisico, non certo da bonazza, e come il suo pensiero acuto e sottile. L’eleganza, poi. Lei era belga, ma le sue movenze squisitamente parigine. E se la Francia aveva la sua Marianne con Catherine Deneuve noi potevamo dire di possedere la nostra con la Spaak. La differenza stava nel finale del copione. La diva francese era rimasta tale alla sua icona. La nostra, da ninfetta che turbava i sonni di noi ragazzini, si era fatta rivoluzionaria per il movimento dell’altra metà del cielo. Quel cielo che oggi ha una frangetta bionda.

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