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    Una partita a porte chiuse è perfetta: equa ed educata, un privilegio senza offese dei tifosi e forzature

    Una partita a porte chiuse è perfetta: equa ed educata, un privilegio senza offese dei tifosi e forzature

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Annibale Frossi, protagonista della medaglia d’oro conquistata dall’Italia di Pozzo all’Olimpiade di Berlino e antesignano degli opinionisti al Corriere della Sera, sosteneva che la partita perfetta corrispondesse allo 0-0. Io penso che negli anni 2000, la partita perfetta sia quella a porte chiuse. Senza pubblico che la adultera con il suo tifo smodato. Senza eccessi in campo perchè i giocatori sono meno eccitati dal contesto. Senza striscioni volgari e offensivi, senza fischi e senza cori razzisti o ululati belluini che provengono da gradinate, curve e tribune. Una partita finalmente educata per chi la gioca ed educativa per chi la guarda, nella quale si sentono le parole dei giocatori, le indicazioni degli allenatori, gli incitamenti delle panchine. Un autentico privilegio per gli occhi e gli orecchi

    Ho fatto questa riflessione assistendo a Juventus-Inter nella quale avevo previsto - sbagliando - una penalizzazione dei padroni di casa che, per l’appunto, non potevano contare sui propri sostenitori. Al contrario, non solo la Juve ha giocato meglio, ma alcuni calciatori che in genere sbagliano di più hanno fatto la loro migliore partita. Mi riferisco a Bentancur, De Ligt, Ramsey.  L’Inter ha avuto tre ammoniti (Skriniar, Vecino e Brozovic), tutti per falli di gioco assolutamente normali, non vistosi e per nulla cattivi. Il bello, però, non risiede in questa contabilità risicata, ma nell’atteggiamento dei ventidue in campo. Ad ogni fischio dell’arbitro Guida nessuna protesta, subito un tentativo di riconciliazione, la mano tesa, una pacca sulla spalla. Nessuno ha simulato, Cristiano Ronaldo è stato ammonito per aver allontanato la palla di qualche metro, gli allenatori sono stati composti e misurati. 

    Forse per tutti sapere che l’unica platea era quella televisiva e che non c’era da aizzare o essere aizzati da nessuno ha aiutato, forse il maligno del calcio risiede proprio nella bolgia incarognita e violenta, forse è facile esserne soggiogati e perdere poi ogni freno inibitore. A porte chiuse no. A porte chiuse sei solo con te stesso, non puoi chiedere l’aiuto di nessuno se non ai tuoi compagni, sei nudo e ti puoi vestire solo con il gioco, i passaggi, i tiri, i contrasti, i colpi di testa. Tutto il resto non solo non conta, ma non c’è proprio e allora chi sta in campo mira all’essenza della propria abilità senza indulgere nella tentazione di irridere nessuno, di fregare qualcun’altro, di atteggiarsi a dio pagano o a vittima sacrificale. La partita a porte chiuse è più bella e più pulita, appartiene più ai giocatori e meno ai cantori, sempre in cerca di una suggestione altra - dall’esultanza alla disperazione alla reazione - che con il calcio c’entra di striscio, spesso per nulla, ed è una forzatura mediatica in quella grande dimensione popolare che è la narrazione attraverso il calcio. 

    Certo, chi paga ha diritto a esserci. Certo, il pubblico regala atmosfere di alta intensità. Certo, l’applauso o l’esultanza sono linfa per chi sta in campo. Tutto vero, ma non è anche un piccolo venefico doping? E non è che, accettando ormai qualsiasi cosa provenga dal recinto intorno al campo, ci siamo assuefatti a tutto e non sappiamo più distinguere l’utile dal dannoso? Chi gioca in casa senza pubblico perde qualche vantaggio, ma - al pari dell’avversario ospitato -  guadagna in serenità (la paura si sbagliare spesso schiaccia) e in immagine. Vogliamo parlare degli arbitri? Quanti - alcuni inconsciamente, altri meno - si fanno condizionare dalla folla minacciosa? Tanti, purtroppo, e questo nonostante il Var che, però, non decide su tutto. Perciò, per me, la partita a porte chiuse è anche più equa, perchè l’amministratore della giustizia è più aiutato (dai calciatori), più attento e più distaccato. 

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