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    Un derby in mezzo ai romanisti... Viva Totti, abbasso Spalletti!

    Un derby in mezzo ai romanisti... Viva Totti, abbasso Spalletti!

    • Giampiero Timossi
    Ho visto il derby di Coppa Italia in tribuna Monte Mario fila 66, posto 8 D, euro 75. L'ho visto tra i tifosi della Roma, seduto accanto al mio amico Pierluigi, uomo di legge, persona garbata e divertente. Però ho scoperto che allo stadio si trasforma, emettendo solo monosillabi con voce secca e profonda, alla Lou Reed. Ho visto Roma-Lazio tra i tifosi della Roma. Il derby non ha capovolto le sorti della gara d'andata. Ma ha capovolto le mie sensazioni su alcuni temi centrali del delicato momento giallorosso. Subito i tre pensieri rovesciati: è giusto che Spalletti se ne vada, a meno che non vinca il campionato e la cosa al momento mi pare decisamente impossibile; Totti è Totti, merita un rispetto che fin qui Spalletti non gli sta riconoscendo e in questo caso davvero si tratta per me di una completa inversione a U; del nuovo stadio ai tifosi romanisti interessa pochissimo, in verità “nun ce ne frega un cazzo”, perché temono che sia difficile da raggiungere, più difficile di quanto non sia già stringersi come sardine giapponesi sul tram numero 2, uno dei pochi modi per arrivare NEI PRESSI dell'Olimpico con i mezzi pubblici.

    Partiamo dal mio viaggio e precisiamo subito: andare dalla Garbatella all'Olimpico non è come fare un tour nelle roccaforti talebane. Per certi aspetti è meglio, per altri forse uguale, magari un giorno lo scoprirò. La primavera avanza, l'ascella pezzata pure, ma pazienza: l'esperienza è così coinvolgente che l'ho ripetuta anche per il viaggio di ritorno. Dalla stazione sotterranea di Garbatella a Termini, linea B. Da Termini linea A, fino a piazzale Flaminio. E poi lui, il tram numero 2, che si muove come un aereo, azionato a pedali, da un ciclista (cosa che vedrò più tardi su Discovery, uno di quei documentari che hanno sostituito tette e culi nelle notti televisive degli italiani). Silenzio sul tram, solo sciarpe romaniste, i laziali ci sono e sono tanti allo stadio. Si saranno mossi prima o in motorino. Scendo alla quarta fermata, “è qui dottò, si fidi, a sinistra e poi tutto diritto”. Dovevo essere al Ponte della Musica alle 20. “Scusa Pier, arriverò per le 8.10”. Risposta ufficiale: “Tranquillo Timo!”. Possibile risposta reale, nella testa dell'Avvocato: “Ma n'vedi sto rompicoglioni, arriva pure in ritardo”. Arrivo, 8.15, l'ascella è ormai perfettamente in linea con i compagni di viaggio appena salutati. Pier sorride, giusto quei due minuti, forse uno, più probabilmente mezzo. E' in clima derby, si è trasformato. Controlli veloci, il finanziare ci guarda in faccia a neppure ci perquisisce. Ci siamo, la Monte Mario canta “Roma, Roma, Roma, core de na città”. Dovrei passare, ma il signore che canta a squarciagola sta abbracciando la moglie e il figlio. Ha gli occhi di Pruitt Taylor Vince, uno degli attori del Pianista sull'Oceano. E' l'uomo con gli occhi più veloci che abbia mai visto. Le pupille del signore che sta cantando vicino a me, il mio "nuovo amico" in piedi con moglie e figlio nella fila 66,  si muovono pieni di lacrime mentre per la sua Roma. Una frazione di secondo e si riempiono di disgusto: “E tu, dove cazzo vorresti andare?”. Lo capisco, mi commuovo e mi scandalizzo con lui. Così mi fa sedere. Sto al posto 8, fila 66. E due minuti dopo, Dzeko sbaglia da due metri, il gol sembrava fatto. “Ho capito che partita sarà”, dice Pierluigi. Lo ha capito davvero. Dirà altre tre cose: “Ha senso mettere dentro Bruno Peres per Juan Jesus? No, non ha senso, sta merda” (credo si riferisse a Spalletti). Due: “Nessuno di questi undici vestiti con il pigiamino celeste giocherebbe titolare nella Roma. Però in finale vanno loro”. Tre: “Ma puoi farlo scaldare tutta la partita il Capitano e poi umiliarlo mandandolo in campo dieci minuti? No, che non puoi, sta merda” (credo di rivolgesse sempre al suddetto allenatore in procinto di lasciare la Roma). Ecco, pigiamini a parte, ORA la penso esattamente come l'Avvocato con la voce di Lou Reed.

    Spalletti deve lasciare la Roma. La squadra qualcosa doveva vincere. Sulla carta è inferiore solo alla Juventus, ha uomini e qualità per andare in finale di Coppa Italia e per non farsi cacciare fuori dall'Europa League, non dal Lione. E, soprattutto, la semifinale di ritorno contro la Lazio è stata disarmante. Non si giudica il lavoro di un allenatore da una sola gara. Ma da una gara come questa si può capire a che punto sia arrivato il rapporto tra il tecnico e la squadra che allena. Spalletti ripete: “I mie giocatori mi seguono e mi amano” e via discorrendo, tutte cose del genere, con risposte televisive così lunghe da far invidia a un monologo del fu Giorgio Strehler. Bene, dagli spalti tutto questo trasporto ieri non si è visto. Per Spalletti questa era la partita della stagione: testa o croce, prendere o lasciare, dentro o fuori. I suoi giocatori, da Dzeko a Salah, l'hanno interpretata come un qualsiasi allenamento a Trigoria. Non c'entrano i gol dell'egiziano, non bastano per giustificare un'ora di completo immobilismo. E se la squadra ha giocato così significa (anche) che l'allenatore non l'ha saputa motivare. Perché non è più motivato.

    Un allenatore che non ha mai saputo afferrare il grido di tutto una stadio: solo un uomo può dare una scossa a una serata così. Tradotto: “E metti er Capitano, che ce toglie dalla merda”. Francesco Totti è entrato, la Roma ha vinto. Io però ero già uscito dallo stadio, sul 2-2. “Resto a guardarmi altri dieci minuti del Capitano”, ha detto uno dei miei vicini della fila 66. Anche in quel momento ho capito cosa significa Totti, per Roma e i romanisti. Anche in quel momento mi sono vergognato di aver rubato tante volte una frase che il collega Roberto Perrone aveva detto a proposito di Del Piero: “I monumenti sono fatti per stare in piazza, non in campo”.

    Fuori ci aspettava Leonardo Colombati, amico di Pierluigi, compagno di avventure allo stadio, finito in un altro settore per far posto all'ultimo arrivato, cioè io. Leonardo è uno scrittore, raffinato, fidatevi, anche se guardandolo ora, impastato di rabbia e delusione sarebbe impossibile crederci. Pier ha detto la sua quinta frase: “Timo, ti sei giocato il bonus”. Rideva, ma non troppo. Leo ha cercato di consolarmi: "Magari un'altra volta ti portiamo”. Pausa: “A un'amichevole”. Tre ragazzi uscivano con noi verso il Tevere: “Giocatori de merda, allenatore de merda”. Leo: “Un editoriale alla Gianni Mura, perfetto”. Leo e Pier, insieme: “Buonanotte Timo”. No, alla prossima volta non l'hanno detto. Sicuro. Sul tram 2, un'altra voce: “Giocatori de merda, allenatore del merda”. Gli editoriali di Gianni Mura lasciano sempre il segno, ça va sans dire. 
     

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