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Ulivieri scrive per CM: la pensione dei numeri dieci
Ammettere a noi stessi di non essere più capaci di fare quello che abbiamo fatto fino a ieri è operazione difficile e altrettanto difficile è rendersene conto. In alcuni ruoli ci si arriva prima: il portiere che non afferra più certi palloni, prima dà la colpa ad una deviazione imprevista o ai difensori che hanno lasciato all'attaccante troppa libertà di calciare, poi capisce che non ha più i riflessi giusti. O un difensore, che perde duelli in velocità e arriva tardi sui rimpalli: prima dà la colpa ai centrocampisti che fanno poco filto, poi capisce. Vale lo stesso per un centrocampista, che non riesce più a fare pressing: prima incolpa gli attaccanti che lavorano poco nella fase di non possesso, poi si rende conto. Altro discorso è per gli attaccanti e i numeri dieci: gli artisti. Per loro non vale perché hanno avuto sempre colpi di genio e il genio non si ingabbia e non appassisce con il passare degli anni. Rimane. Ma vengono meno velocità, reattività, forza, riflessi. Molto di loro, rigoristi specializzati, cominciano a sbagliare anche i rigori.
All'allenatore il compito di spiegare con coraggio e delicatezza, ma anche con chiarezza: non è facile.
A me è capitato, ma pur scegliendo spesso la via della chiarezza, sono stato in difficoltà. Un'eccezione, Franco Colomba, che ringrazio ancora: "Sono a disposizione per ciò che posso dare. Non sono più quello di una volta, quando mi chiamerai risponderò presente" - mi disse. Ieri, alla fine di Italia-Bulgaria, una punizione dal limite. Ha calciato non so chi, ma toccava a lui, Andrea Pirlo. Uomo di centrocampo, ma artista, genio, poeta. Le telecamere lo hanno inquadrato: "Mister, fammi entrare che faccio gol".Tutti abbiamo pensato la stessa cosa, lo abbiamo abbracciato e lo abbiamo tenuto stretto. Caro, grande, "vecchio" Andrea.
Renzo Ulivieri, presidente associazione allenatore, consigliere federale