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    Ulivieri a CM: 'Gazzoni presidente ideale. Io e lui divisi da Lenin e Baggio: me lo comprò ma avevo Nervo...'

    Ulivieri a CM: 'Gazzoni presidente ideale. Io e lui divisi da Lenin e Baggio: me lo comprò ma avevo Nervo...'

    • Pasquale Guarro
    Era un Bologna che faceva divertire, un Bologna in cui ognuno aveva il proprio ruolo. Gazzoni presidente, Renzo Ulivieri allenatore e Lele Oriali direttore sportivo. Nessuno era d'intralcio sconfinando in terreni altrui. Una squadra rimasta nel cuore a molti, pragmatica, ma anche magica, con la presenza di Roberto Baggio. A parlarcene è proprio Renzo Ulivieri, che a qualche giorno dalla morte di Gazzoni, lo ha ricordato con aneddoti che si porterà dietro per sempre.

    Che presidente era Giuseppe Gazzoni Frascara?
    “Un presidente che non si inflazionava con la presenza. Puntuale negli interventi, sempre perentori”.

    È vera quella storia delle idee politiche diverse?
    “Si, ma è vero anche che non ha mai creato divergenze tra noi”.

    Però gli metteva sul tavolo la statuetta di Lenin.
    “Era un modo di provocarlo con simpatia. Lo facevo solo quando veniva a casa mia, come a dirgli «Sei nel mio feudo». Lui sorrideva, era diventato un gioco”.

    C’è un ricordo che la lega in modo particolare a Gazzoni?
    “Si, ce n’è uno in particolare ed è successivo al periodo trascorso insieme in Emilia. Ricordo che andai a Bologna perché tenevo un discorso per sostenere una candidata. Al termine scesi dal palco e vidi da lontano, in un angolino, al buio, il presidente Gazzoni. Era solo. Mi avvicinai a lui e gli chiesi cosa ci facesse lì, mi rispose: «Mi avevano detto del suo intervento e sono venuto ad ascoltarla». Mi commosse, per il gesto e per le parole. Era venuto per me, fregandosene delle idee politiche, che ormai conosceva”.

    Gazzoni le ha mai detto che formazione mandare in campo?
    “Credo che nei 4 anni di Bologna abbiamo parlato di calcio un paio d’ore. I nostri incontri prevedevano 15 minuti iniziali in cui si discuteva un po’ di pallone, poi si andava avanti con cinema e teatro. Era un uomo di grande cultura”.

    Ma perché si arrabbiò così tanto quando le portò Baggio?
    “Perché cambiava tutti i codici della mia squadra. In quella posizione avevo Nervo, con Baggio rischiavo di essere troppo sbilanciato. Ma il problema vero ero io e persi tre mesi prima di capirlo”.

    In che senso?
    “Nel senso che per tre mesi ho cercato di adattare la squadra a Baggio, mentre le cose sono andate bene quando ho detto a Baggio di adattarsi a noi. Dovevo farlo prima”.

    Oriali era un altro segreto di quel Bologna?
    “È un campione di campo e spogliatoio. Lele è uno che trova sempre la chiave per comunicare al calciatore la cosa giusta. Con tempi e con modi che ti entrano nella testa. Ragazzi, non può essere un caso se allenatori come Mourinho, Mancini e Conte lo vogliono accanto”.

    Possiamo dire che alleggerisce il lavoro agli allenatori?
    “Non solo. Lele fa da sempre il lavoro sporco e questo consente a noi allenatori di conservare qualche sorriso in più da esibire ai calciatori. E poi, spesso e volentieri, era quello che mi calmava”.

    Oriali l’ha convinta ad accettare tanti calciatori, c’è stata una volta in cui è stato lei a persuaderlo?
    “Guardi, è un paradosso. L’unica volta che ho convinto Oriali fu per Mangone, ma era comunque un calciatore che proponeva lui. Ricordo che mi serviva un terzino-stopper, diciamo bravo anche a giocare a tre. Mi disse «Mister, io conosco Mangone, l’ho avuto è bravo. Però lei che dice…» Titubava un po’. Gli dissi «Lele, lo conosci tu? Se lo conosci tu si prende e basta». Insomma, questo era il rapporto di stima e sintonia che si era creato. Quattro anni meravigliosi”.

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