Udinese, cronaca di un'eliminazione annunciata
La sconfitta contro l’Arsenal è feroce: è dura digerire il fatto di giocare dando tutto quello che si ha in corpo, ma soccombere alla fine contro un avversario non irresistibile ma sicuramente esperto, cinico e anche un pizzico fortunato. E’ dura digerire tutto questo perché, a mente fredda, risuonano le parole di Guidolin: “abbiamo vissuto 3 mesi con questa musica in testa e questo può disorientarci psicologicamente. Ma dobbiamo riprenderci subito”. Già, la ripercussione psicologica si farà sentire indubbiamente. Perché un anno di sacrifici è stato smantellato dalla proprietà, la quale ha voluto puntare solo ed esclusivamente su delle scommesse palesando il fatto che questa Champions non era essenziale. Ci è stato detto di essere viziati: ebbene si. Lo siamo. Perché aspettiamo da tempo di crescere ulteriormente. E’ umano: nella vita, come nello sport, viene il momento di mettere la testa a posto, di pensare che bisogna fare ulteriori sacrifici per diventare grandi e togliersi soddisfazioni che quando sei giovane non puoi permetterti. I 50 milioni (e oltre) incassati non lo permettevano? Evidentemente a qualcuno va bene rimanere quello che è.
La cosa che da fastidio è che nessuno, e ribadiamo nessuno, chiede la Luna, ma in un anno speciale bastava mettere un po’ di esperienza in una squadra che a vederla in campo ha suscitato passione per l’impegno, ma che ha anche palesato problemi. Significative le gare di Neuton, uno che non ha ancora stupito: “mi serve tempo, sono qui da un mese”. Come dargli torto.Fa specie aver visto in campo titolari due giocatori che pur si sono impegnati alla morte (Ekstrand e Badu), ma che ricordiamo che l’anno scorso non vedevano il campo nemmeno col lumicino. Diventati improvvisamente campioni? Qui c’è qualcosa che non va nelle strategie, c’è poco altro da aggiungere.
La comunicazione del club ha fatto acqua fin da giugno, quando asseriva che quest’anno non c’era bisogno di vendere perché il bilancio era sano. Detto fatto. La spiegazione di Pozzo dell’altra settimana è apparsa un cerotto su una gamba rotta. Il fatto è che, in effetti, per una volta bastava dichiarare incedibile almeno un big e trattenerlo per una causa comune più grande degli interessi finanziari. Non ci dicano che l’Udinese sarebbe fallita per questo o che la squadra avrebbe storto il naso se Sanchez fosse rimasto magari con un aggiustamento di ingaggio. Paradossale anche la gestione del ‘caso Denis’: tanto per ricordare una cosa il giocatore già a giugno ha detto che a Udine sta bene “ma se arriva un’offerta economica valida la prendo in considerazione”. detto fatto. Pierpaolo Marino ieri ha dichiarato: “vengo qui a prenderlo perché a Udine non l’avete fatto giocare”. Con in tasca un assegno da 1 milione all’anno l’ha portato a Bergamo. Denis non vogliamo passi come il salvatore della patria mancato, è solo un simbolo di una filosofia che non condividiamo. Certo è che tenerlo sapendo di essere stato venduto da giorni è stata l’ultima scelta strana di quest’estate. Stranezze varie come le promesse di un attaccante in arrivo da settimane. “mercoledì prossimo dirò il nome”, disse Pozzo un mese fa. Non serve aggiungere altro. Oggi sembra quasi essere stata una mossa per muovere la campagna abbonamenti, fatta ad arte attraverso i media.
Non ci siamo: serve chiarezza per ripartire. L’amarezza di un’occasione unica gettata via, non di certo per colpa della squadra, è grande. Troppa per essere sintetizzata in poche righe. Diventare adulti è un dovere, non una scelta. A Udine ci si è adagiati in un’adolescenza dorata esasperando una politica giusta, ma che deve anche essere elastica adattandosi alle esigenze specifiche. Non si vive di sole scommesse, servono anche certezze. E quest’anno comincia con molti, troppi dubbi e con un’eliminazione annunciata da settimane non solo per il nome dell’avversario. E’ stata una gita a New York, ma per molti era meglio stare a casa e pensare che si poteva farcela. qualcosa nell’ingranaggio quest’estate si è inceppato: troppe parole e promesse e pochi fatti. Certo, qualcuno sostiene che bisogna aver fiducia, che questi nuovi ragazzoti arrivati fra un anno magari saranno venduti a peso d’oro. Ecco appunto: auguriamo a tutti di esplodere, ma è proprio il fatto che tanto verrebbero venduti a peso d’oro a farci disilludere. Definitivamente.
Rimane l'attaccamento della gente a una squadra che è entrata nel cuore e che non ha colpe specifiche: l'applauso finale è solo per lei. Il Friuli c'è, e forse non serve nemmeno uno stadio nuovo. Se non si costruisce attaccamento e fiducia nei progetti le strutture materiali non hanno senso.
PS: sempre qualche settimana fa Pozzo ha detto chiaramente che i soldi incassati servono a finanziare il nuovo stadio. A parte il fatto che, sempre secondo Pozzo, l'aspetto sportivo non sarebbe stato intascato ("i soldi ci sono già" disse l'anno scorso), che a settembre dovevano cominciare i lavori (!) oggi vorremo sapere dai lettori se preferiscono uno stadio risparmiando sulla squadra o vogliono invece una squadra competitiva?