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Tudor ritrova la Juve dopo l'addio al veleno: deluso da Pirlo, 'superato' da Baronio, ora vuole la sua rivincita
Alla fine degli anni ’90 Tudor giocava da «pilone» davanti alla difesa, era un mediano imponente nei movimenti ma dotato di buona tecnica. Tomislav Ivic - maestro di calcio slavo e uno dei più rinomati allenatori dell'epoca - disse che somigliava «un po’ a Desailly e un po’ a Rijkaard». Mattè però aveva visto lungo. Ai dirigenti della Juve spiegò che il ruolo in cui Tudor si sarebbe espresso meglio era quello del centrale difensivo, giocando lì - in difesa - si sarebbe rivelato uno dei migliori prospetti a livello europeo. E così fu. La profezia di Mattè trovò forma concreta nei sei anni e mezzo che Tudor passò alla Juve. Era costato circa 8 miliardi di lire, venne presentato insieme ad un altro slavo, il serbo Zoran Mirkovic, che arrivava dall’Atalanta e che non ha mantenuto le promesse di inizio carriera. Si può tranquillamente dire che tutta la sua carriera sia concentrata in quel periodo (1999-2005) con la maglia bianconera. Una carriera ristretta, perché il passaggio al Siena, il rientro alla Juve in B (ma senza mai scendere in campo per un infortunio alla caviglia) e il definitivo ritorno a casa all’Hajduk non sono certo state tappe significative. Cinque anni ad alto livello, questo è stato Tudor. Che a trent'anni era già - suo malgrado - un ex giocatore, costretto a lasciare la scena a causa dei continui problemi fisici. E’ in questo periodo che si concentra anche la sua esperienza con la Nazionale croata (55 presenze e 3 gol), con la semifinale al Mondiale di Francia che rappresenta il punto più alto della generazione di Boban e Suker. Il ventenne Tudor quel giorno era in panchina. Giocherà da titolare - invece - il Mondiale del 2006. A quarant'anni era già allenatore.
Si è formato alla scuola di Lippi (con cui ha vinto due scudetti), qualcosa ha preso anche da Ancelotti, soprattutto nella gestione dello spogliatoio: sono loro i suoi allenatori di quegli anni a Torino, prima dell’esperienza da vice con Edi Reja all’Hajduk. In bianconero si è tolto anche la soddisfazione di segnare qualche gol pesante, uno per tutti, quello in pieno recupero agli ottavi della Champions League 2002-03 contro il Deportivo La Coruña. Con Montero ha formato una coppia inossidabile di centrali: duri, rudi, cattivi quanto serviva. Ad un certo punto - con alcuni compagni di squadra - è scivolato anche in una storia torbida di acrobazie tra le lenzuola e fantomatiche case di massaggi proibiti (lo scandalo del Viva Lain), ma senza che ciò intaccasse il suo percorso professionale. La duttilità che aveva da giocatore è una caratteristica che ritroviamo anche nel Tudor allenatore, formatosi tra i campi di casa (Hajduk),Grecia (Paok) e Turchia (Karabukspor e Galatasaray), prima di arrivare in Italia (a Udine, dove da subentrante ha centrato due salvezze) e oggi a Verona.
Tudor la Juve l'ha anche allenata. Da collaboratore tecnico di Pirlo, l'anno scorso. Ci ha creduto per un po’. Poi si è sfilato. O meglio: si è sentito superato nel ruolo di vice da Baronio. E ha fatto un passo a lato. L'addio è stato al veleno, sono volati gli stracci. Nei confronti della società, perché Tudor ha definito «ingiusto» l'esonero a fine stagione nonostante la qualificazione in Champions. E soprattutto nei confronti di Pirlo, da cui tra l'altro era stato scelto. «Sono rimasto molto deluso da lui», ha detto Igor la scorsa estate. Deluso perché - come detto - Pirlo «mi ha messo sullo stesso livello degli altri suoi assistenti. Ma questa esperienza mi è servita: non farò più il secondo, perché io invece sono un allenatore». E lo sta dimostrando alla grande sulla panchina del Verona.
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