Trapattoni, l'Inter e le palme di Gasp: 'Il problema sono i ragazzi di oggi'
Giovanni Trapattoni, il più grande e il più “umano” tra tutti i tecnici che il calcio contemporaneo posso celebrare, a livello teorico dovrebbe rappresentare l’altra faccia di Gasperini. Nel senso che lui ha lavorato principalmente per società e squadre di assoluta eccellenza non solo in Italia ma in mezza Europa. E con loro ha sempre vinto o comunque convinto. Una sola volta gli è capitato di “distrarsi”e di accettare le proposte di un presidente avventuriero e di allenare una squadra avventurosa. Il Cagliari. Ricorda bene, Giovanni, quello scampolo di stagione: “Volevo tornare in Italia e rimettermi in gioco nel mio Paese. Lasciai il Bayern ritenendo che in Sardegna avrei potuto fare ottime cose. Dopo pochissimo tempo mi resi conto che non tirava aria buona. Soprattutto a livello di organizzazione societaria che nel calcio è fondamentale. Così cambiai aria, seppure con dispiacere per la gente sarda, tornai in Germania”.
Ma allora è vero che esistono allenatori strutturati, mentalmente e per formazione tecnica, per allenare in realtà diciamo così minori e altri vocati a dirigere gruppi di campioni? La carriera memorabile di Trapattoni dimostrerebbe la validità di questo teorema. Lui provvede a smontarlo con il suo solito buon senso e con la sua tradizionale onestà intellettuale. “Non esistono, nel calcio che conta, due tipologie di allenatori. A certi livelli di impegno, la professionalità di ciascuno acquisita nel tempo e con le esperienze permette di poter affrontare ogni tipo di impegno per tutti e allo stesso modo. Gasperini ha detto una cosa molto divertente ma anche saggia. Il problema non sono le palme in Piazza Duomo a Milano, semmai la stessa Piazza che non è la più stessa ormai da tanto tempo”. Una nuova metafora trapattoniana per spiegare il senso e l’inesattezza di certi luoghi comuni come quello, appunto, dell’allenatore adatto ad un solo tipo di ambiente. Trapattoni, al proposito, conosce molto bene ciò di cui stiamo parlando. “Ho avuto due grandi maestri. Nereo Rocco e soprattutto Nils Liedholm. Due uomini, prima ancora che tecnici, diversissimi tra loro a livello comportamentale ma assai simili per filosofia di vita sportiva e di approccio con i giocatori. Per loro non aveva importanza l’età oppure il valore del singolo elemento. Potevano essere giovani ancora inesperti o campioni già affermati. Sul campo e agli allenamenti si dovevano comportare e dovevano lavorare tutti allo stesso modo. La differenza, po, si sarebbe vista durante la partita per ovvie ragioni. E anche fuori dal campo le regole, quelle di vita, erano identiche per tutti. Senza eccezioni. Io ho ricalcato quel modo di procedere tentando di essere insegnante per chi doveva imparare e consigliere per quelli che già erano arrivati al top. Per tutti una sorta di fratello maggiore, talvolta padrone e sempre psicologo. Devo dire di essere stato fortunato. Perché i miei ragazzi, in tutte le squadre che ho allenato, mi hanno seguito. Il vero problema, però, è che oggi quegli stessi ragazzi non ci sono più. Come testa e come educazione sportiva, intendo. Con Platini, per esempio, non dovevo fare l’allenatore ma l’amico che di notte mentre tutti dormivano lo accompagnava lungo i corridoi dell’albergo mentre lui fumava una sigaretta dietro l’altra perché era insonne. Lui era il massimo. Era il re. Eppure se in partita vedevo che un poco mollava mi bastava fischiare e si metteva subito in riga. I miei ragazzi hanno sempre avuto un grande senso del dovere, della fatica e dell’orgoglio. Probabilmente questi valori li ho trasmessi io, ma loro erano disposti ad accettarli e a coltivarli. Oggi, quelli delle grandi squadre, sono divi. Tutti, anche quelli non affermati. Difficilmente fanno gruppo fuori dal campo e negli spogliatoi ciascuno sta per i fatti suoi con il telefonino. Io che ho messo in riga gente come Edmundo e Cassano e che, credo, avrei fatto la stessa cosa con Balotelli dubito che mi farei dare retta con un semplice fischio dai campioni di oggi che sono più che altro personaggi da copertina. Il simbolo migliore el calcio attuale secondo me rimane Messi che è un esempio di modestia e di genialità. Io ho sempre adorato i giocatori creativi ma li ho sempre fatti sudare come quelli meno talentuosi. Nessuno di loro ha mai protestato. Ecco perché posso dire, con onestà e tranquillità, che senza i miei grandi ragazzi nella Juve prima e in giro per il mondo dopo forse non sarei diventato quello che tutti conoscono e mi auguro apprezzo ancora come il Trap”.