Totti e Berlusconi, nessuno (ancora) come voi. E non è colpa solo di Saturno
Giampiero Timossi
Due compleanni, un quadro di Goya e una domanda: cosa avranno in comune Okaka e Alfano? Cercando la risposta, può iniziare il racconto. Sono i giorni dei quarant'anni di Francesco Totti. E dell'ottantesimo compleanno di Silvio Berlusconi. Due simboli, molte storie, tanti personaggi sullo sfondo, qualche incrocio e due decenni al potere. Il capitano della Roma è nato il 27 settembre 1976. Il presidente di Forza Italia il 29 settembre del 1936. Sono le storie di due intramontabili, perché nessuno li ha ancora sostituiti. E nessuno, per ora, sembra all'altezza dell'eredità. Entrambi hanno vinto molto: campionati, coppe dei campioni, Champions, elezioni che hanno permesso all'ex cavaliere di governare l'Italia per vent'anni. Una Coppa del Mondo, in Germania, alla faccia di frau Angela Merkel, uno scudetto, coppe Italia e pure una scarpa d'oro: questo il bottino del capitano giallorosso. Due bandiere, della Roma e del centrodestra. Non sono più al top dei top, va bene. Ma continuano a trascinare. E a dividere. Totti fa gol, comunque. Berlusconi porta voti, comunque, come nessun altro fin qui è riuscito a fare tra gli elettori di centro e di destra. E poi c'è la storia di Saturno. Riguarda entrambi. Al dio greco (che i romani chiamavano Crono) era stato profetizzato che uno dei figli lo avrebbe soppiantato. Lui trovò la contromisura: divorarli al momento della nascita. Al mito Goya ha dedicato uno dei suoi capolavori. E a quel quadro ho ripensato domenica, nel primo pomeriggio. Quando allo stadio di Torino è entrato Totti, all'inizio del secondo tempo. Ha segnato su rigore il gol del momentaneo 2-1, ha giocato una gara senza gloria. Poco importa e il suo allenatore lo sa. Silvio Berlusconi, dal canto suo, ha quasi venduto il Milan ai cinesi. Se i nuovi proprietari si riveleranno poco affidabili? Pazienza, la Fininvest ha già incassato 100 milioni di caparra e al presidente toccherà ancora una volta salvare il Diavolo. Intanto il presidente ha scelto di lanciare sulla scena politica un nuovo successore, Stefano Parisi. Ha anche cambiato nome al partito, non si chiamerà più Forza Italia, ma Per l'Italia, la decisione è stata già annunciata all'ufficio di presidenza dove siedono tutti i marescialli, Brunetta, Romani e compagnia. Senza Totti il popolo romanista non riesce a vivere, così almeno pare. Lui entra i campo e il “popolo” si commuove e la commozione si trasforma in lacrime dopo ogni gol, poco importa del risultato finale. Stessa storia per Berlusconi: basta o basterebbe una sua telefonata per infiammare un comizio, un congresso, l'incontro in un circolo, un compleanno forzista. Nella prima convention di Parisi il “popolo” aspettava un segnale, un messaggio, un cenno. Niente, nessuna lacrima, moderato ottimismo, qualche sbadiglio. Parisi ha la fiducia di Berlusconi, ma non ha ancora entusiasmato. L'equazione è facile: chi trascina gli elettori entusiasma il capo. Ed è anche per questo che i tanti tentativi di successione, in questi anni, sono falliti: da Fini ad Alfano, da Fitto a Toti. Qualcosa di simile accade con Totti e lo racconta anche il risultato di Torino-Roma, 3-1, doppietta di Iago Falque. Lo spagnolo è uno dei tanti talenti passati per l'attacco giallorosso senza lasciare il segno, oscurati (anche, ma non solo) da Totti. Iago Falqué, come gli improponibili Nonda e Mido, come gli onesti Okaka, Baptista e Carew, i talenti Vucinic e Osvaldo, la scommessa Adriano. E ora le statistiche raccontano che già otto volte il gol di un ex romanista ha decretato la sconfitta della Roma di Totti. Analogie? Quella del governo Renzi sostenuto da Alfano, terzultimo delfino berlusconiano. Okaka, Baptista e Carew, come Fini, Fitto, Alfano o Toti. Schiacciati dal peso di due bandiere? Probabilmente solo incapaci d'accendere una luce propria. Parisi ci sta lavorando, Berlusconi lo sostiene, anche se non nasconde una certa cautela: “Dovrebbe sottolineare di più, molto di più, i risultati ottenuti dal mio governo”. Ricordare il passato e poi giocare da campione. Come farebbe Totti, uno che Berlusconi voleva al Milan. L'attaccante ci pensò e fu l'unica volta che venne sfiorato dal pensiero di lasciare Roma. Lui era er Pupone, l'altro il Cavaliere. Due che non hanno eredi, non ancora. E la colpa non è tutta di Saturno.