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    Toromania: Ventura addio, cinque anni non sono bastati a fargli capire il Toro

    Toromania: Ventura addio, cinque anni non sono bastati a fargli capire il Toro

    • Andrea Piva
    Torino e Toro: ai più queste due parole possono sembrare due modi diversi di chiamare la stessa squadra. Non ai tifosi granata, a quelli che hanno visto giocare il Grande Torino, che si accalcavano nel cortile del Filadelfia, che negli anni '60/'70 hanno amato Giagnoni, Ferrini e Pulici (e continuano ad amarli), che sorridono pensando a Bruno, Annoni, Policano e a quella sedia alzata al cielo da Mondonico o quelli più giovani che sono rimasti folgorati dagli occhi spiritati di Asta. Per tutti questi il Torino è una squadra di calcio, come le altre, il Toro invece no: è qualcosa di completamente diverso dalle altre. Quasi impossibile sentire pronunciare da chi ha il cuore granata frasi del tipo “Tifo Torino” e “Forza Torino”, molto più facile che si senta dire “Tifo Toro” e “Forza Toro”: una differenza minima a livello del significante ma che diventa enorme su quello del significato. Una differenza che negli ultimi anni ha separato Giampiero Ventura e Moreno Longo, considerati da una parte consistente della tifoseria un buon allenatore del Torino il primo, un buon allenatore del Toro il secondo. Con la nomina di Ventura ct della Nazionale e la rescissione di Longo, in casa granata ieri si è definitivamente chiuso un ciclo. Un ciclo che ha diviso i tifosi come mai era capitato nella storia recente e che ha visto i due allenatori, loro malgrado, essere spesso paragonati e presi d'esempio per come dovrebbe o non dovrebbe essere un tecnico del Toro. 

    Nessuno mette in dubbio che a livello di risultati Ventura sia stato il migliore allenatore granata della storia recente, neanche i suoi detrattori, ma le dichiarazioni, i gesti e la mentalità impressa alla sua squadra quelle sì che sono state discutibili o almeno non da Toro. Nei cinque anni in cui ha guidato la squadra di Cairo, le volte che il neo ct della Nazionale ha nominato la parola Toro si possono contare sulle dita di una mano, molte di più le volte in cui ha parlato di Cittadella, di crescita e di conoscenze. “Vincere o perdere una partita non cambia, conta il processo di crescita” è la sintesi di quello che i tifosi hanno letto o ascoltato in questi anni, mentre in campo più volte la squadra si arrendeva quando le cose andavano male, finendo di giocare le proprie partite ben prima del 90'. Un peccato grave in una qualunque partita, che diventa mortale in un derby. Già, i derby. Altro tasto dolente della gestione Ventura. Il tecnico ligure ne ha persi più di chiunque altro abbia mai allenato il Toro (otto su nove) e troppi ha smesso di giocarli prima della fine. “Sul 2-0 ho tolto Baselli e Belotti perché a quel punto la partita era finita e volevo risparmiarli per domenia prossima” aveva, ad esempio, dichiarato Ventura dopo l'ormai celebre derby di Coppa Italia: peccato che sul 2-0 la Juventus non fosse stata dello stesso avviso del tecnico ligure e abbia rifilato altri due gol a Ichazo. È così che le sfide con i bianconeri degli ultimi anni sono ricordate per lo più per lo scambio di magliette tra Ogbonna e Marchisio dopo un 3-0, gli abbracci e i sorrisi di di Quagliarella con gli avversari dopo un 4-0 e il gesto del tagliagole fatto dallo stesso Ventura nei confronti di un tifoso esasperato dopo l'ennesima sconfitta nella partita più importante.

    È così che il paragone con Longo nel corso degli anni ha preso sempre più piede. L'allenatore della Primavera ha incarnato alla perfezione lo spirito Toro, ogni anno ha portato di sua iniziativa la squadra a Superga a rendere omaggio al Grande Torino e al museo a conoscere i più di cento anni di storia. Nel frattempo, senza nascondersi dietro ad un dito, caricava i suoi ragazzi. “Siamo il Toro, dobbiamo sempre provare a vincere. Ce lo impone la storia”, è la frase più volte uscita dalla bocca di Longo che ha infiammato i suoi giocatori e i tifosi. Alla “crescita” venturiana ha contrapposto “la cultura della vittoria” e le sue squadre, con poca tecnica ma tanto cuore, vincendo sono cresciute. Longo ha alzato al cielo uno scudetto e una Supercoppa italiana, è entrato nel cuore di tutti i tifosi. Longo è stato l'allenatore del Toro, Ventura no.

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