© Carlo Pozzoni - Como
51 anni senza la Farfalla Granata, lo sport ha bisogno di altri Meroni
Come Valentino Mazzola e i suoi compagni, come Giorgio Ferrini, anche Gigi Meroni è un'icona di granatismo e tremendismo che troppo presto ha lasciato il Toro ma soprattutto questo mondo. Il numero 7 sulla schiena, i baffi, a volte anche la barba, quei capelli troppo lunghi per l'ex ct della Nazionale Edmondo Fabbri, ma anche quelle gambe, capaci di spostare rapidamente il pallone e non farlo trovare agli avversari, la passione per l'arte, per la pittura, per la moda, la Balilla nera e il grande amore della sua vita: Cristiana. Era questo, ma non solo, Gigi Meroni. Per questo, ma non solo, che era, ed è, così amato da chi tifa Toro, tanto che quando si diffuse la notizia che la Juventus era interessata ad acquistarlo, gli operai della Fiat “sabotarono” le 128 al momento del loro lancio: le auto uscivano dalla fabbrica senza alcuni pezzi o rigate e con un volantino all'interno con scritto “Agnelli, giù le mani dal Torino”. Perché Meroni era ed è il Torino.
Cinquantuno anni dopo la morte, Torino, come ogni 15 ottobre, piange ancora Meroni. E lo ricorda. Lo ammira, lo sogna. Lo sport, non solo il calcio o il Toro, avrebbero bisogno di molti più Meroni, di idoli che fanno sognare, di fuoriclasse in grado di rompere gli schemi, in campo e fuori, di artisti, di numeri 7 con i baffi e i capelli un po' troppo lunghi e innamorati della vita.