Toro alla bolognese:| Cairo lascia e raddoppia
"Finchè sarò presidente darò tutto me stesso".
Toro e Fildelfia: Cairo double face lascia e raddoppia.
Ha annunciato di lasciare il club, ma non intende sfilarsi dalla Fondazione per il nuovo stadio.
Boglione: "Una fondazione di imprenditori per garantire solidità, magari insieme a Cairo".
Toro come il Bologna, l'idea di mister Kappa: "L'unione fa la forza".
Cairo ha fatto il primo passo. Definitivo (a sentire lui), ma fuori dalla sede del Toro, da sei anni gli uffici milanesi della Cairo Communication, non c'è la fila. Comprare una società di calcio non è semplice, ma venderla è ancora più difficile. In Italia e in un periodo di magra poi: non è un caso se nessun club indigeno fa gola all'estero, se un colosso indiano di pollami compra i Blackburn Rovers, Premier League non proprio di prima fascia, e nemmeno butta l'occhio al mercato italiano. (Di) Benedetto sia l'imprenditore americano che forse, magari, chissà lunedì acquisterà la Roma, ma anche qui Unicredit vuol tenere una bella fetta di torta e occhi ben aperti.
L'identikit di un potenziale nuovo presidente del Toro è da ricalibrare, sostiene Marco Boglione, il signor Robe di Kappa (e un sacco di altri marchi riuniti sotto Basic Net): torinese, di successo, investitore nel pallone quale sponsor tecnico (anche del Toro), appassionato di calcio, buon amico di Cairo. E juventino. Ogni volta che al Toro si cerca un nuovo papa, puntuale salta fuori il suo nome. Lui lascia dire, tanto non si fa. Parte da un paradosso, Boglione: «Se si cerca un imprenditore, questi c'è già: è Urbano Cairo. Mancano i risultati, ma la società è sana, paga gli stipendi, non fa debiti».
Il peggior Toro della storia, la serie A sempre più lontano: la piazza non vuole più saperne di Cairo, mica facile far digerire altri bocconi amari. Urge divincolarsi dal paradosso: «Bisogna cambiare obiettivo, cercare un modello di governance diverso e più sostenibile. Ci sono tre tipi di presidenti: i mecenati come Moratti, Berlusconi, la famiglia Agnelli; gli imprenditori alla Garrone e De Laurentiis e quelli che lo fanno per professione e per guadagnarci. In Italia, solo Cellino. Cairo sta nella seconda categoria: guardate Garrone, la Samp va male ma lui mica è diventato un cretino o è rimasto senza soldi. Solo, è alla fine di un ciclo, più virtuoso di quello granata senza dubbio, ma finito».
Per Boglione la figura del mecenate «è datata» e allora serve scovare una via d'uscita che, Cairo o non Cairo, trasformi una società in perenne lotta con il passato e senza un'oncia di presente da mettere sulla bilancia. «Il modello perfetto esiste e si chiama Siena. Meglio, Monte dei Paschi, la Banca. Che ha deciso di investire nel calcio e ha scelto un presidente abile ad amministrare il patrimonio. Un istituto fortemente radicato che, in questa operazione, raccoglie il consenso dei propri correntisti. Proprio perché è applicata a una realtà del territorio come il Siena». E dove sarebbe la banca piemontese pronta ad applicare tal sistema virtuoso? «Non c'è. Scomparsi l'Istituto San Paolo e la Crt, nessuno può sobbarcarsi tale operazione. Proprio per questo occorre passare alla seconda soluzione».
Labirinto in cui è difficile intravedere una via d'uscita, niente mecenate, niente banca, andrà mica a finire che Cairo resta la carta più alta? «Intanto starei attento a prenderlo a calci. E poi cercherei di supportarlo. La prima esigenza del Toro è il patrimonio: la società ha bisogno di soldi. Possono arrivare se un gruppo di imprenditori si mette insieme e dà vita a una fondazione. Alla cassaforte. E questi imprenditori ci sono. Poi la gestione si dà a uno solo: potrebbe essere anche Cairo, perché no? Ha capito di aver sbagliato e anche la convinzione di voler fare tutto da solo non è poi più così ferma».
Una holding che garantisca stabilità, insomma, modello simile al Bologna più recente: 25 soci, l'ultimo in ordine di entrata Cazzola, con quote diverse e un presidente che amministra. «Bisogna sapere per che cosa fare la guerra, solo così si vincono le battaglie. Lo scopo finale, con il Toro, è dargli una liquidità per investire: nel vivaio, nel centro sportivo, nello stadio. Creare un modello con cui relazionarsi alla città e alle sue Istituzioni». Che Boglione voglia entrarci non è scontato, ma il trasporto con cui ne parla è un buon indizio: «Se ci fosse un progetto sostenibile, vorrei essere uno dei primi a parteciparvi». L'impressione è che la chiamata alle armi sia partita, la tolleranza zero della piazza nei confronti di Cairo (giustificata dalla gestione in corso) è sicuramente un ostacolo: per ora il più tosto. Come finirà? «Siamo a metà del primo tempo, sotto di un gol. Ci stiamo organizzando per recuperare». Il Toro che rimonta uno svantaggio: già questa sarebbe una novità.