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    Tokyo 1985, la prima Juve che si prese il mondo

    Tokyo 1985, la prima Juve che si prese il mondo

    • Gianfranco Accio
    Ci sono momenti della nostra vita che sono rapiti dalla nostra memoria. Momenti meno felici, che spesso vengono, fortunatamente rimossi, e situazioni di gioia, a volte collettiva, che la nostra memoria, funzione psichica e neurale di assimilazione degli organi sensoriali del cervello, ci riporta ad un tempo passato, il quale ci fa rivivere esaltanti emozioni. Emozioni forti che ci trasmettono festose frenesie. Una di queste è sicuramente il trionfo Intercontinentale della Juventus a Tokio nel 1985. Sono già passati 38 anni, ma il giorno 8 dicembre 1985 mi rinnova quell'assioma di serenità calcistica da cui non si può fuggire. In sintesi riviviamo quei giorni memorabili per il calcio italiano.

    L'avventura era iniziata nella mattinata del 1 Dicembre con la partenza da Torino Caselle. La comitiva, composta da giocatori, dirigenti e una quindicina di giornalisti, s'imbarcava sull'aereo della Japan Airlines, prima del decollo dallo scalo aereo torinese. L'atmosfera era quella di una tranquilla trasferta agonistica che però, comportava, un trasferimento davvero sfibrante. Pensate agli scali tecnici. Prima Dusseldorf, poi Parigi Charles De Gaulle, Anchorage in Alaska, con temperatura esterna di meno 18 gradi, e finalmente l'arrivo all'aeroporto di Tokio Narita. Sono state 24 ore davvero stressanti, nonostante i pannicelli caldi che le gentili e premurose Assistenti di volo nipponiche ci porgevano con grazia e massima professionalità. Brio occupava, con le sue lunghe leve, quattro posti, mentre” l'intellettuale “ Manfredonia si era immerso in una lettura culturalmente interessante.

    In altri termini, 24 ore su un volo con rotta polare, hanno messo alla prova la resistenza fisica e mentale di ognuno di noi. Il momento del relax è arrivato nell'attesa dei bagagli. Accomodati su accoglienti divani, io iniziai a interpretare alla lettera il ruolo di inviato. Chiesi subito a Platini di concedermi un'intervista che, Le Roi, preferì dilazionare, più avanti, in tempi di minor tensione. Aveva ragione. La trasvolata ci aveva veramente provato. Ci si doveva abituare al cambio di fuso orario. Il Giappone è otto ore indietro rispetto all'ora italiana. La partita era fissata per le 12 di Tokio corrispondenti alle 4 del mattino in Italia. Sette giorni passati tra allenamenti e visite alla capitale nipponica, che ci avvicinarono al giorno della gara. Arrivammo allo Stadio Nazionale Olimpico di Tokio, avvolti da una bruma prettamente autunnale. Del resto Tokio si trova al 45esimo parallelo, che coincide esattamente a quello di Torino. Quindi nessun eccessivo disagio climatico ma la visibilità non risultava certo ideale, e una fastidiosa pioggerellina non favoriva le condizioni del campo.

    Stadio Olimpico Nazionale gremito in ogni ordine di posti. Circa 62 mila spettatori (nel 2015 è stato abbattuto e sostituito da uno completamente nuovo) che con le “vuvuzela”, trombette ad aria, suonate in modo ossessionante per tutto l'incontro, offrivano un significato ambientale davvero unico. Finalmente la partita, che ci ha offerto spunti straordinari d'eccellenza calcistica (ritenuta dalla stampa specializzata la migliore edizione nella storia del torneo ) non ha mai vissuto momenti di stallo. Unica nota stonata è stato l'arbitro Roth, un tedesco occidentale che annullò un antologico gol di Platini. Ancora oggi ci chiediamo il perchè.

    L'Argentinos Juniors, che aveva vinto la Coppa Libertadores, si dimostrò subito squadra ostica con Borghi, Ereros e Batista. Il primo tempo si chiuse sullo zero zero. Nella ripresa apriì le marcature Ereros, ma il pareggio arrivò poco dopo, su rigore ben tirato da Platini. Le due squadre si affrontavano a viso aperto e gli argentini non demordevano, pur trovando una Juventus più aggressiva e determinata rispetto al primo tempo. Nonostante ciò, Castro riportò in vantaggio i sudamericani, ma uno strepitoso Laudrup raggiunse il meritato pareggio all'82esimo. I supplementari non cambiarono il risultato ed ecco arrivare i tanto temuti calci di rigore.

    I tre penalty iniziali con Brio, Cabrini, e Serena andarono a segno, mentre gli argentini sbagliarono con Batista. Meglio Olguin e Lopez, che fecero centro. A quel punto la tensione montava ed il momento clou stava per arrivare. Falliva dal dischetto Laudrup, che riportava le squadre su un ipotetico pareggio. Lentamente andava sul dischetto Pavoni, ma la portentosa parata di Tacconi (a cui oggi facciamo gli auguri per una ritrovata salute stellare) mandava Borghi e compagni in paranoia. Era arrivata l'ora del giustiziere. Platini, con il rigore finale, doveva mandare in soffitta le residue speranze avversarie. Il francese non si smentiva e la trasformazione si convertiva in visibilio per la Torino bianconera, che aveva dovuto alzarsi alle 4 del mattino per ascoltare la mia radiocronaca, unica ad arrivare sul territorio nazionale. La Juventus diventava per la prima volta Campione del Mondo. Immaginate anche il tripudio, la gioia, di tutto lo stadio che aveva tifato per i bianconeri.

    Un successo trionfale che aveva, solo in parte, ripagato l'amarezza, la tristezza la costernazione per la tragedia dell'Heysel, avvenuta qualche mese prima. Il viaggio di ritorno a Torino fu talmente brillante e ambientalmente suggestivo, con la Coppa collocata in mezzo a Boniperti e Trapattoni, che il grande Platini si avvicinò per concedermi quell'intervista mancata in precedenza, che, sono fiero di conservare come una prestigiosa ed esclusiva reliquia.

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