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Tattica, esperienza e rigori: ecco perchè la Germania è stata superiore all'Italia
Finisce male perché finisce ai rigori (7-6). E l’Italia, che pure nella sequenza era stata in vantaggio, ne sbaglia uno più della Germania. L’ultimo è di Darmian, ma prima di lui avevano fallito Zaza, Pellé e Bonucci. Buffon ne ha parato uno (a Mueller), Oezil ha colpito il palo, Schweinsteiger ha mandato in curva il quinto che sarebbe potuto essere decisivo per i tedeschi. Singolare che gli autori dell’1-1 nei 90 regolamentari (Oezil e Bonucci) non si siano ripetuti dal dischetto.
La Germania va in semifinale e l’Italia torna a casa. Per quel che si è visto in campo (90 regolamentari più i 30 dei supplementari) il verdetto non è scandaloso: se pur di poco loro avevano fatto più di noi. Sia perché il vantaggio è venuto da un’azione di aggiramento conclusa da Oezil, sia perché nei minuti immediatamente successivi Gomez ha avuto la palla del raddoppio sulla quale hanno sventato, cooperando, Chiellini e soprattutto Buffon, straordinario anche più di Neuer. I campioni del mondo hanno tenuto di più la palla e intessuto a lungo la manovra, l’Italia ha corso meglio e per un tempo maggiore, ma avrebbe potuto creare qualche occasione più propizia. Cosa è mancato? Nulla di particolare, solo che siamo andati a sbattere contro il nostro limite che non è dinamico, né agonistico, ma tecnico e mentale.
Perché mentale? Perchè i rigori non sono una lotteria come dicono i giornalisti senza argomenti, ma una prova in cui bisogna giocare contro se stessi (la paura di sbagliare e le sue conseguenze) e contro il portiere avversario. La differenza tra Germania e Italia, però, non sta solo nella sequenza dagli undici metri. Chi lo dice si limita ad una critica grossolana o emotiva.
Prima c’è stata tutta una partita che l’Italia non ha condotto come le era successo contro il Belgio e, a maggior ragione, contro la Spagna. La Germania non ha mai corso rischi e, soprattutto, abbiamo giocato poco nella loro metacampo. Quando è accaduto, sono stati dei flash riconducibili al contropiede.
Nel finale del primo tempo, per esempio, un’azione congegnata dal solito lancio di Bonucci ancora per Giaccherini (sembrava la fotocopia del primo gol al Belgio), ha portato ad un cross mancato di poco da Eder e, poi, ad una conclusione di Sturaro sulla quale ha salvato Boateng.
Ma anche nella ripresa, e per lungo tempo, abbiamo costruito troppo poco per vincere (fuori una girata di Pellé su cross di De Sciglio) e, forse, anche per pareggiare. Il rigore trasformato da Bonucci è stato un regalo di Boateng (fallo di mano) che ha affrontato Chiellini da tergo allargando le mani come un airone in volo. Molti hanno voluto sottolineare come la Germania, probabilmente temendoci, abbia modificato il proprio sistema di gioco passando dal 4-2-3-1 al 3-5-2. Sinceramente durante la partita l’ho vista attuare indifferentemente il 4-4-2, il 3-4-2-1 e il 5-3-2. Ammesso che tutto ciò sia un segno di evoluzione e non di pericolosa confusione, la Germania è stata di più in partita perché ha degli interpreti migliroi dei nostri e, nell’atto decisivo, non ha snaturato lo spirito del suo gioco. Che non è la tattica, ma la forza.
E’ vero, adesso la Germania sa correggersi in corsa, ma non è per questo che segna spesso su azione e fino ad ora ha subito un gol su rigore. Ma perché ha spessore, conoscenza, esperienza e tranquillità superiori alla maggioranza degli avversari. Compresi noi. I tedeschi non ci avevano ancora battuti nella fase finale di un Europeo e di un Mondiale e, a dire la verità, non ci sono riusciti nemmeno stavolta (tecnicamente la partita è finita in parità). Però sono più avanti in tutto e il loro calcio, seppur non travolgente, è frutto di una programmazione che noi non abbiamo. E con i Tavecchio forse non avremo mai.
La Germania va in semifinale e l’Italia torna a casa. Per quel che si è visto in campo (90 regolamentari più i 30 dei supplementari) il verdetto non è scandaloso: se pur di poco loro avevano fatto più di noi. Sia perché il vantaggio è venuto da un’azione di aggiramento conclusa da Oezil, sia perché nei minuti immediatamente successivi Gomez ha avuto la palla del raddoppio sulla quale hanno sventato, cooperando, Chiellini e soprattutto Buffon, straordinario anche più di Neuer. I campioni del mondo hanno tenuto di più la palla e intessuto a lungo la manovra, l’Italia ha corso meglio e per un tempo maggiore, ma avrebbe potuto creare qualche occasione più propizia. Cosa è mancato? Nulla di particolare, solo che siamo andati a sbattere contro il nostro limite che non è dinamico, né agonistico, ma tecnico e mentale.
Perché mentale? Perchè i rigori non sono una lotteria come dicono i giornalisti senza argomenti, ma una prova in cui bisogna giocare contro se stessi (la paura di sbagliare e le sue conseguenze) e contro il portiere avversario. La differenza tra Germania e Italia, però, non sta solo nella sequenza dagli undici metri. Chi lo dice si limita ad una critica grossolana o emotiva.
Prima c’è stata tutta una partita che l’Italia non ha condotto come le era successo contro il Belgio e, a maggior ragione, contro la Spagna. La Germania non ha mai corso rischi e, soprattutto, abbiamo giocato poco nella loro metacampo. Quando è accaduto, sono stati dei flash riconducibili al contropiede.
Nel finale del primo tempo, per esempio, un’azione congegnata dal solito lancio di Bonucci ancora per Giaccherini (sembrava la fotocopia del primo gol al Belgio), ha portato ad un cross mancato di poco da Eder e, poi, ad una conclusione di Sturaro sulla quale ha salvato Boateng.
Ma anche nella ripresa, e per lungo tempo, abbiamo costruito troppo poco per vincere (fuori una girata di Pellé su cross di De Sciglio) e, forse, anche per pareggiare. Il rigore trasformato da Bonucci è stato un regalo di Boateng (fallo di mano) che ha affrontato Chiellini da tergo allargando le mani come un airone in volo. Molti hanno voluto sottolineare come la Germania, probabilmente temendoci, abbia modificato il proprio sistema di gioco passando dal 4-2-3-1 al 3-5-2. Sinceramente durante la partita l’ho vista attuare indifferentemente il 4-4-2, il 3-4-2-1 e il 5-3-2. Ammesso che tutto ciò sia un segno di evoluzione e non di pericolosa confusione, la Germania è stata di più in partita perché ha degli interpreti migliroi dei nostri e, nell’atto decisivo, non ha snaturato lo spirito del suo gioco. Che non è la tattica, ma la forza.
E’ vero, adesso la Germania sa correggersi in corsa, ma non è per questo che segna spesso su azione e fino ad ora ha subito un gol su rigore. Ma perché ha spessore, conoscenza, esperienza e tranquillità superiori alla maggioranza degli avversari. Compresi noi. I tedeschi non ci avevano ancora battuti nella fase finale di un Europeo e di un Mondiale e, a dire la verità, non ci sono riusciti nemmeno stavolta (tecnicamente la partita è finita in parità). Però sono più avanti in tutto e il loro calcio, seppur non travolgente, è frutto di una programmazione che noi non abbiamo. E con i Tavecchio forse non avremo mai.