Tardelli, sessant'anni da urlo
Oggi che Marco Tardelli (foto vavel.com) compie sessant’anni, il suo urlo contro il mondo è ancora lì a spaccarci i timpani e a dirci sveglia, non può finire tutto così. Da un po’ di tempo Tardelli commenta le partite in tv. Lo fa per mamma Rai, nel frattempo diventata un po’ più vecchia e acciaccata anche lei. Si è imbolsito, ma nemmeno troppo, e l’insonnia che aveva prima delle partite ora gli viene per colpa dell’età. Una volta le ragazzine andavano al campo di allenamento per chiedergli l’autografo. Ma quando lo guardavano negli occhi finiva che non spiccicavano una parola. In gioventù è stato un sex symbol ombroso ma leale.
Oggi è, come tutti quelli diventati grandi, esperienza e calma. Ha detto: «Quello che mi manca davvero è l’atmosfera di quel calcio. Lasciamo stare la società in genere, il discorso ci porterebbe lontano» Restando confinati nell’anima di un pallone fatto di cuoio e poco altro, Tardelli riconosce come il gioco «allora fosse più felice e divertente». Anzi, puntualizza, «diciamo proprio che era sport: adesso invece è spettacolo, e non nel senso migliore del termine».
Era l’Italia che per guadagnarsi le cose faceva i sacrifici. Quando giocava nel Pisa, prima di diventare il jolly della Juventus, Marco andava a fare il cameriere part-time vicino a Piazza dei Miracoli. Diceva: «Ce la farò, diventerò un uomo». Un giorno entrò Dino Zoff e ordinò un caffè. Marco lo servì e gli chiese anche un autografo. Quando pochi anni dopo si ritrovarono alla Juve, Marco gli ricordò quell’episodio. Allora Dino chiamò gli altri e disse: «Oh, abbiamo preso un cameriere». Altri tempi, altre storie. Quando a Spagna ’82 Marco ricevette quel pallone e tirò, la Germania diventò piccolissima. Poi Tardelli prese a correre sul prato, i pugni roteati nel vento, grida di passione. Che non si spegne nemmeno oggi, e anzi un po’ ci manca. Alziamo il volume dell’urlo, allora. Sai che liberazione.
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