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    STORIE MONDIALI: quel rigore di Meazza in mutande contro il Brasile

    STORIE MONDIALI: quel rigore di Meazza in mutande contro il Brasile

    • Furio Zara
    Aveva 28 anni, i capelli neri unti di brillantina, l'elastico dei pantaloncini allentati e un rigore da battere. Giuseppe Meazza, detto "Pepin", uno che - a un secolo dai suoi primi calci (era nato a Milano nel 1910) - ancora se la gioca come miglior giocatore della storia del calcio italiano. Quel giorno, a Marsiglia. Mondiale del 1938. Semifinale col Brasile. Rigore per l'Italia. Lo batte lui. E chi altri? E' il migliore, non si può tirare indietro. Prende la rincorsa, l'elastico dei pantaloncini lo tradisce, il rischio è quello di rimanere in mutande, con un colpetto della mano "Pepin" lo aggiusta, calcia di piatto, spiazza il portiere brasiliano Walter, come sempre: gol, uno dei 33 (in 53 partite) con la maglia azzurra. Solo Gigi Riva - che arriverà a 35 reti - farà meglio. 

    L'Italia vince 2-1 e va in finale dove trova l'Ungheria, che ha battuto 5-1 la Svezia: finirà 4-2, doppiette di Piola e Colaussi. E' il secondo titolo mondiale per l’Italia del ct alpino, Vittorio Pozzo, allenatore di una squadra che quattro anni prima - Mondiali organizzati in casa - aveva superato 2-1 la Cecoslovacchia. E' il secondo titolo mondiale anche per Meazza, uno dei pochi (con lui Ferrari e Monzeglio) che già hanno vinto la coppa. Vittorio Pozzo dice di lui: "Averlo in squadra significa partire da 1-0". 

    Sono anni straordinari per il calcio italiano, nel 1936 vinciamo anche le Olimpiadi, siamo i più forti del mondo e il nostro uomo-simbolo è questo campione dall'aria pigra, attratto da due cose (l'altra è il pallone), un viveur che ama i piaceri della vita. E un calciatore di talento purissimo. Meazza nasce come attaccante, famose le sue fughe one to one contro il portiere avversario, ma è bravo nel riciclarsi anche da mezzala, da '10' si sarebbe detto negli anni a venire. 

    Pepin è un ragazzino cresciuto dalla madre Ersilia, tra miseria e sacrifici, nella Milano appena uscita dalla Prima Guerra Mondiale (suo padre era morto combattendo). Entra all'Inter a 15 anni, ma è talmente gracile che la società provvede a garantirgli un paio di pasti al giorno. Quando a 17 anni debutta in prima squadra, un compagno - Leopoldo Conti - appena lo vede - con quella faccia e quel fisico da bambino - esclama con acida ironia: "Ehi, ma qui facciamo giocare anche i Balilla?", alludendo all'Opera Nazionale Balilla, che negli anni del Fascismo aggrega tutti i ragazzini fino ai quattordici anni. E Meazza da quel giorno diventa per tutti 'Balilla'. 

    Con l'Inter vince tre scudetti e si laurea tre volte capocannoniere della serie A. Giocherà anche con Milan e Juventus, per poi chiudere con Varese e Atalanta, prima di tornare all'Inter - nell'ultimo anno di carriera - e dare l'addio al calcio, per colpa dei troppi acciacchi e di un piede praticamente congelato. E' morto nel 1979, l’anno dopo lo stadio di Milano è stato intitolato alla sua memoria. Di lui restano foto virate seppia, qualche raro video e soprattutto l'aura del campione che ha segnato un'epoca. 

    Su quel rigore al Brasile e sui pantaloncini che gli sarebbero caduti sul più bello circolano varie storie. Alcune immagini di quel rigore - ma si riferiscono soltanto all'impatto piede-pallone - sembrerebbero smentire la versione del Meazza in mutande, ma testimonianze dei compagni di allora vanno tutte nella stessa direzione: aveva 28 anni, una bel po' di brillantina in testa, l'elastico dei pantaloncini allentati e un rigore da battere. Si chiamava Giuseppe Meazza, detto "Pepin". 
     

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