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    Srna: 'Mi voleva l'Inter? Uno sceglie con testa e cuore. Mandzukic mi ha detto che...'

    Srna: 'Mi voleva l'Inter? Uno sceglie con testa e cuore. Mandzukic mi ha detto che...'

    Darijo Srna si racconta alla Gazzetta dello Sport. Il difensore del Cagliari ha così parlato del suo arrivo in Sardegna e non solo: “Il presidente Giulini mi ha voluto come sono. Gli amici mi dicono, Darijo, ma ti rendi conto che la gente paga per vivere in Sardegna e invece ti pagano per stare lì?”. 

    MARAN - “È una persona speciale e ha capito che per me era importante. Mi chiamavano tutti i giorni, ma per me era una pena, dicevo, vengo se andate in finale, ci sono arrivati e sono andato. Un risultato splendido ottenuto anche con un po’ di fortuna. Secondo me in altre occasioni abbiamo giocato meglio, ma la finale in Russia è stato un momento fantastico per tutta la Croazia”. 

    DOPING - “Avevo perso tutto in un attimo. Prima il doping e la squalifica, e mi cade il mondo addosso. Poi il presidente Akhmetov dello Shakhtar che mi dice che non mi rinnoveranno il contratto, ed è un altro pugno in faccia. Lo capisco, fa il suo lavoro, lo Shakhtar è il mio amore, so che deve crescere dei giovani. Io però avevo comprato una bella casa a Donetsk, il presidente aveva aperto una scuola internazionale dove andavano i miei bambini. In un soffio, tutto sparito. Ero a pezzi. La squalifica è stato il momento peggiore della carriera, ma sono robusto. Quel che non ti ammazza ti fortifica”. 

    DUE GUERRE - “Mio padre ne ha attraversate tre. Quando ero bambino, in Croazia, avevo paura tutti i giorni. Faceva il fornaio, usciva per portare il pane alla gente che non poteva andare nei negozi. Noi lo guardavamo partire e non sapevamo se sarebbe tornato. Quel che sono lo devo a lui, ma sono grato anche a Lucescu e al suo vice Nicolini che mi hanno trasformato in un terzino. Sono grato a Guardiola che ha avuto un problema con il doping simile al mio e mi ha spinto a lottare. Mi diceva “Fallo per il tuo nome, per i tuoi figli. Nel calcio non esiste il doping, esistono gli errori”. Mi ha aiutato molto, come Boban, Stanic, Modric, tanti altri giocatori ed ex giocatori che mi sono stati vicini. E Mario Mandzukic, logicamente. Un campione e un grande amico”. 

    MANDZUKIC - “Se ci sentiamo spesso? Sì. Mi ha detto che sabato vuole giocare a sinistra e io gli ho detto: “Peggio per te, non ti farò toccare palla”. C’è grande amicizia fra di noi, anche con Luka. Loro chiamano, i miei figli rispondono al telefono e si mettono a parlare. Ho giocato nella Croazia 15 anni, ho visto passare tanta gente. Li ho visti arrivare giovani e poi me ne sono andato dopo Euro 2016. Avevo perso mio padre, non era un bel momento. Ma con la nazionale mi sono preso tante soddisfazioni e ho salutato quando era giusto farlo. Ha raggiunto il massimo, che cosa potrebbe ottenere più di una finale mondiale? Lascia al top e si dedica alla sua carriera nel club più forte. Credo che la Juventus abbia il passo per vincere la Champions, e di certo il campionato. Non c’è solo Ronaldo, ma tanti altri giocatori chiave: Chiellini è il numero uno in Italia”.

    CAGLIARI - “Perché il Cagliari? Gliel’ho detto, è l’unico club che mi ha veramente voluto. Inter, Barcellona e Chelsea? Ma poi uno deve andare dove gli dicono il cuore e la testa. Prima di decidere ho preso informazioni. Giovanni e Giacomo Branchini, che non sono i miei agenti, ma amici, mi hanno parlato dell’ambiente, poi mi ha chiamato Pavoletti, che mi piace molto. Ama scherzare, come me, ed è un grande attaccante: non mi permetto di entrare nel mestiere di Mancini, ma meriterebbe una chance in Nazionale. Vi manca il bomber? Eccolo. E Barella in un paio d’anni diventerà il leader degli azzurri”. 

    FUTURO - “Vedo un po’ di pace. Sa, ho provato a trovare il lato buono anche nella squalifica. Non avevo mai fatto vere vacanze e ho potuto riposarmi. La mia vita è stata piuttosto stressante. Ma poi mi guardo indietro e penso: in Croazia sono venuti a confiscarci la macchine, ora ne ho due e un’altra bella casa, quindi ho vinto la mia guerra. Sono un lottatore, mia moglie pure. E’ più ambiziosa di me e per mia figlia ha voluto una scuola a Londra, quindi ora fanno la spola fra Sardegna e Inghilterra. A 36 anni sono come quello che era da ragazzo, come era suo padre: uno che combatte. Non mollo mai e senza l’insegnamento di mio padre non sarei quello che sono. Quando venivano a cercarmi gli osservatori diceva: mio figlio non si compra con i soldi. Mi sono trasferito all’Hajduk perché Stimac, un amico di famiglia, lo ha convinto. All’inizio è stato difficile, però come avrà capito nella mia vita non c’è stato niente di semplice. E ora mi trovo in quest’isola piena di luce, con un pubblico splendido. Negli ultimi anni passati in esilio lo Shakhtar giocava nel deserto: quando entro i campo e vedo lo stadio pieno mi si allarga il cuore. Mi sembra di tornare indietro di dieci anni”. 
     

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