AFP/Getty Images
Spalle al campo, occhi fissi a terra: quando l'Inter crolla, Spalletti dove va?
A un certo punto gira le spalle al campo di gioco e tiene gli occhi fissi a terra. Potrebbe essere il rigore fatale (da subire o segnare), una grande parata del “suo” portiere, un gol facile facile fallito da un “suo” attaccante. A un certo punto Spalletti stacca la spina e dove va? Non cerca l’illuminazione dall’alto, non consulta appunti, non gesticola col suo secondo…Semplicemente si estranea. Entra nel gorgo dell’ immedesimazione in una specie di a tu per tu che esclude il resto del mondo. Pratica zen? Lampo di meditazione trascendentale? O più banalmente freno degli istinti? Dominio d’un sé che scalpita per entrare sul rettangolo e andare a prendere qualcuno a calci nel sedere (parafrasando la furia d’un altro allenatore interista per poco)?
Forse tutte queste cose insieme. O forse no. Semplicemente Spalletti, anche nel bel mezzo della tensione, se ne va da un’altra parte per allontanarsi mentalmente e prendere le distanze dal contingente. Come ha fatto ieri nella partita contro il Milan. Dopo averne cantato le lodi, non rinneghiamo certo la sua bravura a causa di qualche sconfitta. Confermiamo che degli ultimi allenatori nerazzurri è quello che ha dato una fisionomia più equilibrata alla squadra. Ricordiamo che risollevò la Roma dalla concitata confusione di Garcia. Ma… Ma, oggi come allora, l’allenatore di Certaldo non ha mai smesso di subire il fascino d’una dedalica complessità. Lo vediamo (o meglio lo ascoltiamo) quando parla. Anche di fronte alla più semplice domanda, risponde addentrandosi entro una selva oscura di affermazioni che si autonegano per poi riconfermarsi in una specie di eterno ritorno circolare. Affermazioni negate, negazioni affermate, avversative e relative sospese, certezze dubitative, ferrei dubbi si susseguono in labirinti sibillini, che francamente nel mondo degli umani hanno pochi eguali. Creature terrestri ed infere al tempo stesso, come gli oracoli, erano un tempo aduse a tali rivelazioni, che i sacerdoti o i negromanti s’incaricavano poi di tradurre ai viventi.
Ma ora chi traduce Luciano? Limpido, chiaro nella tattica, determinato nelle priorità, Spalletti quando parla non comunica, né si esprime, bensì rivela. Che cosa? L’essenza ultima della verità, che come affermavano gli oracoli, appunto, o i mistici, i maghi, è indicibile. Si può solo sfiorare, lambire, carpire per illuminazioni, schegge, frammenti, tutti in conflitto fra di loro. Dove va, dunque, Spalletti quando si estranea? In qualche grotta interiore a trovare la Sibilla Cumana. Da lì riemerge e inanella quei tormentati, inesausti presagi di cui, ahimé, non vorremmo che talvolta rimanesse vittima.
Forse tutte queste cose insieme. O forse no. Semplicemente Spalletti, anche nel bel mezzo della tensione, se ne va da un’altra parte per allontanarsi mentalmente e prendere le distanze dal contingente. Come ha fatto ieri nella partita contro il Milan. Dopo averne cantato le lodi, non rinneghiamo certo la sua bravura a causa di qualche sconfitta. Confermiamo che degli ultimi allenatori nerazzurri è quello che ha dato una fisionomia più equilibrata alla squadra. Ricordiamo che risollevò la Roma dalla concitata confusione di Garcia. Ma… Ma, oggi come allora, l’allenatore di Certaldo non ha mai smesso di subire il fascino d’una dedalica complessità. Lo vediamo (o meglio lo ascoltiamo) quando parla. Anche di fronte alla più semplice domanda, risponde addentrandosi entro una selva oscura di affermazioni che si autonegano per poi riconfermarsi in una specie di eterno ritorno circolare. Affermazioni negate, negazioni affermate, avversative e relative sospese, certezze dubitative, ferrei dubbi si susseguono in labirinti sibillini, che francamente nel mondo degli umani hanno pochi eguali. Creature terrestri ed infere al tempo stesso, come gli oracoli, erano un tempo aduse a tali rivelazioni, che i sacerdoti o i negromanti s’incaricavano poi di tradurre ai viventi.
Ma ora chi traduce Luciano? Limpido, chiaro nella tattica, determinato nelle priorità, Spalletti quando parla non comunica, né si esprime, bensì rivela. Che cosa? L’essenza ultima della verità, che come affermavano gli oracoli, appunto, o i mistici, i maghi, è indicibile. Si può solo sfiorare, lambire, carpire per illuminazioni, schegge, frammenti, tutti in conflitto fra di loro. Dove va, dunque, Spalletti quando si estranea? In qualche grotta interiore a trovare la Sibilla Cumana. Da lì riemerge e inanella quei tormentati, inesausti presagi di cui, ahimé, non vorremmo che talvolta rimanesse vittima.