Sneijder contro Inter, il parere dell'avvocato: non è mobbing
Da alcuni mesi, tutto il mondo del calcio s'nterroga se, la vicenda di Wesley Sneijder, messo ai margini della squadra dalla dirigenza nerazzurra per indurlo ad accettare una riduzione dell’ingaggio, possa essere ricondotta ad un caso di mobbing.
Il mobbing consiste in una sorta di terrore psicologico esercitato dai colleghi di lavoro, o dai superiori, a carico del lavoratore, al fine di emarginarlo o di escluderlo dal gruppo.
Non esiste una definizione legislativa di mobbing, ma questo istituto è di origine giurisprudenziale: i giudici sono concordi nel definirlo una condotta perpetrata nel tempo dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Essa consiste nel compiere reiterati atti ostili di natura discriminatoria o psicologicamente persecutoria.
Da tali comportamenti consegue la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente nell’ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell’equilibrio psicofisico e della personalità del dipendente.
Dopo questa doverosa premessa e, alla luce delle notizie che si rincorrono giornalmente sul calciatore, è difficile ritenere che l’Inter stia mobbizzando Sneijder, il quale si allena in gruppo con i propri compagni e non viene convocato da Stramaccioni solo per scelta tecnica.
Il calciatore non lamenta un danno psicofisico legato al comportamento della società e neppure di essere vessato da comportamenti discriminatori e persecutori.
La vicenda Sneijder, a prima vista sembrava rievocare il caso Pandev e Ledesma le cui controversie si sono concluse per il primo, con la condanna della Lazio alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno a favore dell’atleta; per il secondo con il rigetto dell’istanza del calciatore.
In realtà, questi sono casi completamente diversi fra loro, in quanto Pandev lamentava l’esclusione dagli allenamenti della prima squadra oltre che dalle convocazioni per indurlo a rinnovare il contratto.
La condotta della società Lazio violava la norma del contratto collettivo vigente (l’atleta ha il diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra), sicché si è trattato di un vero e proprio inadempimento contrattuale risarcibile.
L’unico caso riconosciuto di mobbing nel calcio è legato alla vicenda del calciatore Diego Zanin in forza all’A.S. Montichiari.
Zanin aveva lamentato una condotta persecutoria, a proprio carico, per non aver voluto ridurre il proprio ingaggio, a giudizio della società troppo elevato, in seguito della retrocessione della squadra dal campionato di C1 a quello di C2.
Zanini ha subito diverse molestie: è stato emarginato dai compagni di squadra, dagli allenamenti, ha subito umiliazioni dall’allenatore, è stato minacciato e, da ultimo, è stato vittima di un’aggressione con conseguenti lesioni.
La Commissione Disciplinare, con delibera del 21 maggio 2004, ha condannato ad ammenda l’allenatore, il Team Manager e la società Montichiari.
Dalla ricostruzione dei fatti, come si legge nella delibera, emergono tutti gli elementi propri del mobbing: atti vessatori posti in essere dalla Società e dai compagni, la precisa volontà di emarginazione dei compagni, le patologie fisiche sofferte dal calciatore.
Zanin sì venne mobbizzato. Non certamente Sneijder.
Maria Luisa Garatti, avvocato