Calciomercato.com

  • Sinibaldi, lo sconosciuto che cambiò il calcio, prima di Sacchi e Guardiola

    Sinibaldi, lo sconosciuto che cambiò il calcio, prima di Sacchi e Guardiola

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    Noi giochiamo con i quattro difensori in linea più “alti” che possiamo. Anzi, io sono veramente felice quando i miei due difensori centrali sono il più vicini possibile al cerchio di centrocampo. Non preoccupiamoci di “scappare” all’indietro anzi … magari facciamo un altro passettino in avanti e mettiamo gli avversari in fuorigioco. Dobbiamo giocare nella metà campo avversaria con calma e precisione. Passarci la palla fra di noi e avere pazienza, fino a quando non troviamo il pertugio giusto nella difesa avversaria. E non dimenticate che se in questa fase perdiamo la palla non si arretra neppure stavolta. Cerchiamo di recuperarla lì, nella metà campo avversaria il prima possibile. Mi raccomando: non esiste che basiamo il nostro gioco su quello dell’avversario. Vorrebbe dire perdere il 50% delle nostre capacità”

    Ora provate a pensare a chi può avere questa filosofia di gioco e chi potrebbe dire queste cose ai suoi giocatori.

    Pep Guardiola ? Marcelo Bielsa ? Jurgen Klopp ? Mauricio Pochettino ? Oppure magari tornando indietro qualche anno Arsène Wenger ? Arrigo Sacchi ? Zdenek Zeman ? Francisco Maturana ? o magari Johann Cruyff ?

    In realtà potrebbe essere ognuno di loro.

    Solo che il primo ad applicare tutto questo è un allenatore francese, nato in Corsica nel 1924 e che spiegava questi concetti quando nel 1960, a soli 36 anni, gli venne affidata la panchina dell’Anderlecht, la più popolare e vincente squadra del Belgio.

    Il suo nome è PIERRE SINIBALDI.

    Ex giocatore di buon livello nello Stade Reims Sinibaldi cresce nel mito della grande Ungheria di Puskas, Koscis e Hidegkuti ma è il Brasile del 1958 a farlo perdutamente innamorare.

    La sua carriera di allenatore inizia a soli 31 anni, quando un brutto infortunio al ginocchio lo costringe ad appendere gli scarpini al chiodo.

    In quel momento sta giocando nel Perpignan, squadra della serie cadetta francese.

    I dirigenti del Club non hanno un dubbio alcuno: gli affidano la panchina per permettergli di fare quello che in pratica faceva già in campo ovvero l’organizzatore del gioco della squadra.

    E’ il 1956. Al Perpignan rimane tre anni dove inizia a sperimentare le sue idee innovative e per certi aspetti rivoluzionarie.

    “Non vincevamo sempre ma la gente che veniva allo stadio si divertiva. Ci prendevamo dei rischi ma in un piccolo club che era già felice di giocare in Seconda Divisione non è mai stato un problema” è il ricordo di Sinibaldi di quegli anni formativi.

    Dopo una breve esperienza sulla panchina della nazionale lussemburghese arriva la chiamata del prestigioso club di Bruxelles.

    Nella stagione precedente il titolo è finito al Lierse e il Presidente Albert Roosens vuole qualcuno giovane a cui affidare la costruzione di un progetto che veda non solo l’Anderlecht tornare a dominare in Belgio ma in grado di competere ad alto livello anche nelle competizioni europee.

    Nonostante la pressione completamente diversa da quella di Perpignan per l’allenatore corso le cose non cambiano di una virgola.

    Anzi, giocatori migliori vogliono dire poter sperimentare cose sempre più nuove e originali.

    Nell’Anderlecht implementa il “4-2-4” utilizzato dal Brasile agli ultimi mondiali in Svezia e per quanto spregiudicato, viene favorevolmente accolto da calciatori e tifosi.

    Alla sua prima stagione arriva un terzo posto che se è vero che non soddisfa le ambizioni del club non mette in discussione le qualità e le convinzioni del giovane Sinibaldi.

    Sono tempi in cui “costruire un progetto” è ancora possibile e la pazienza è ancora una virtù.

    Gli svarioni difensivi della prima stagione diventano sempre meno frequenti, i meccanismi sono sempre più oliati e a rendere tutto più facile arriva sulla scena del club belga un giovane fenomeno che diventerà uno dei giocatori più forti e importanti di tutta la decade.

    Si chiama Paul Van Himst e per tutti in Belgio diventa in breve il “Pelé bianco”.

    Ha tecnica, fantasia, visione di gioco e un tiro preciso e potente.

    Già nella stagione precedente, quella d’esordio di Sinibaldi sulla panchina dell’Anderlecht, il diciassettenne prodigio aveva trionfato nella classifica dei marcatori.

    Nel 1961-1962 per l’Anderlecht torna a trionfare nel campionato belga.

    E’ una marcia trionfale. Nove punti di vantaggio sulla seconda, due sole sconfitte e ben settantacinque reti segnate.

    Per i tifosi dell’Anderlecht è già un semidio.

    Chi va al Lotto Park, lo stadio del club, vede vincere e giocare un calcio spettacolare, sempre votato all’attacco.

    All’Anderlecht rimane fino al 1966, conquistando altri tre titoli consecutivi tra il 1963 e il 1966.

    Al termine di quella stagione, segnata in modo tragico dalla scomparsa del suo leader difensivo Laurent Verbiest, morto in un incidente d’auto nel febbraio del 1966, annuncerà al presidente Roosens la sua volontà di lasciare il club.

    Per i “bianco viola” della capitale è un colpo difficile da digerire.

    Sinibaldi si trasferisce in Francia, al Monaco ma dopo una prima stagione deludente chiusa nella parte bassa della classifica nella seconda c’è solo un piccolo miglioramento verso un 11mo posto finale che non è però sufficiente a garantirgli il rinnovo del contratto.

    All’Anderlecht però non si sono dimenticati di lui e nella stagione 1969-1970 Sinibaldi torna a sedersi sulla panchina del club della capitale belga.

    Sarà una stagione memorabile perché aldilà di un parzialmente deludente quarto posto in campionato arriverà un percorso strepitoso in Coppa delle Fiere che porterà l’Anderlecht a giocarsi la finale contro gli inglesi dell’Arsenal dopo aver sorprendentemente avuto la meglio in semifinale sull’Internazionale di Milano di Heriberto Herrera.

    Infatti, dopo aver perso in casa il match di andata (0 a 1 rete di Roberto Boninsegna) gli uomini di Sinibaldi vanno a vincere a San Siro per due reti a zero, entrambe segnata da Pummy Bergholtz.

    La finale persa contro i “Gunners” londinesi sarà forse quella che impedirà al bravo allenatore corso di ottenere la definitiva consacrazione. Dopo il tre a uno casalingo dell’andata l’Anderlecht riesce a contenere gli avversari nell’acquitrino di Highbury fino ad un quarto d’ora dalla fine prima che due reti in rapida successione di Radford e Sammels finiscano per condannare i belgi al tre a zero finale che consegnerà il titolo nella mani del manager inglese Bertie Mee.

    Al termine della stagione successiva però avviene un importante cambiamento in società. Il Presidente Roosens viene sostituito da Constant Vanden Stock.

    Quest’ultimo, con ambizioni da tecnico, insiste per convincere Sinibaldi ad utilizzare un metodo di calcio più prudente e conservativo, spingendo soprattutto per l’utilizzo di un “libero” alle spalle della difesa, causa, a suo dire, della sconfitta di Highbury della primavera precedente.

    Pierre Sinibaldi è ovviamente irremovibile.

    Quello è il suo calcio e quella è la sua squadra.

    Se non può allenare come vuole meglio che le strade si dividano.

    Sinibaldi si trasferisce in Spagna, a Las Palmas dove in quattro anni conquista un quinto posto nella Liga e mantenendo sempre la squadra lontano dal fondo della classifica e soprattutto giocando sempre il suo calcio attraente e spregiudicato, molto apprezzato in Spagna.

    La sua avventura in terra iberica si concluderà però al termine della stagione 1975-1976, chiusa con la retrocessione allo Sporting Gjion che di fatto chiuderà la carriera di un allenatore che cambiò il modo di giocare a calcio, gettando lui quelle basi sulle quali Rinus Michels costruì la più grande rivoluzione della storia del calcio: l’Ajax dei primi anni ’70.

    ANEDDOTI E CURIOSITA

    Pierre Sinibaldi nasce a Montemaggiore, in Corsica, nel febbraio del 1924. Dopo due stagioni con il Troyes approda a 22 anni nello Stade de Reims, dove rimane per dieci stagioni, vincendo due campionati e trionfando nella classifica dei marcatori nella stagione 1946-1947.

    In quel periodo fa il suo esordio con la Nazionale francese per la quale giocherà soltanto due incontri, uno dei quali però entrato nella storia del calcio francese: la vittoria dei “Galletti” contro la Nazionale inglese in una amichevole disputata allo Stade Yves de Manoir a Colombes.

    Quando Albert Roosens gli offre la possibilità di allenare l’Anderlecht Sinibaldi ha solo trentasei anni ed è un’autentica scommessa del patron dei “bianco-viola”. Nonostante la prima stagione non sia all’altezza delle aspettative Roosens è colpito dal rapporto che Sinibaldi è riuscito a creare con i suoi calciatori che in pubblico non lo chiamano “Coach” come di prassi ma “Monsieur” un modo molto elegante per tenere le distanze con un allenatore che ha solo qualche anno più di molti giocatori della rosa.

    … all’interno dello spogliatoio i rapporti sono completamenti diversi, confidenziali e amichevoli. Al loro allenatore i giocatori si rivolgono chiamandolo “Sini” o “Il corso” creando in breve un’alchimia fondamentale per poter mettere in atto le teorie per i tempi rivoluzionarie di Pierre Sinibaldi.

    “Sono semplicemente arrivato troppo presto. A quei tempi ero considerato un eretico. Qualche anno dopo il modo di giocare del mio Anderlecht era diventato di moda” ha sempre ricordato con il giusto orgoglio Sinibaldi.

    Nella stagione 1962-1963 “les Mauves” compiono una delle imprese destinate a rimanere nella storia del club. Avendo vinto il campionato nella stagione precedente l’Anderlecht accede alla Coppa dei Campioni. Al primo turno però il sorteggio li mette di fronte al grande Real Madrid di Puskas, Di Stefano e Gento, finalista l’anno precedente.

    Non c’è nessuno che concede una sola chance ai ragazzi di Sinibaldi.

    All’andata al Santiago Bernabeu la prima mezz’ora è un autentico assedio del Real Madrid
    che prima colpisce una traversa con Gento e poi si porta sul due a zero con reti di Zoco e dello stesso Gento. Sembra che non ci sia partita invece l’Anderlecht inizia a macinare il suo gioco paziente e ordinato. Nel giro di cinque minuti, tra il 37mo e il 42mo, gli uomini di Sinibaldi si sono riportati in parità grazie a Van Himst (delicato tocco di esterno destro) e Janssens.

    Il Real è spiazzato dalla qualità degli uomini di Sinibaldi ma un brutto errore del portiere ungherese dell’Anderlecht Arpad Fazekas permette a Di Stefano di riportare in vantaggio i suoi. L’Anderlecht si riporta in avanti, prendendosi qualche rischio ma trovando il gol del meritato pareggio a dieci minuti dalla fine con Stockman.

    Risultato sorprendente e inatteso che però non mette certo al riparo l’Anderlecht nella partita di ritorno sul suo terreno.

    Sarà invece un gol di Jurion a cinque minuti dalla fine a sancire il clamoroso passaggio del turno dell’Anderlecht con le scene di giubilo dei tifosi belgi che invadono il campo festanti.

    Nel turno successivo l’Anderlecht eliminerà i bulgari del CSKA Sofia prima di cadere contro gli scozzesi del Dundee nei quarti di finale.

    Una delle cose che Pierre Sinibaldi (scomparso nel 2012) ha sempre ricordato con maggiore piacere è il fatto di non essere mai stato eliminato con il suo Anderlecht da compagini italiane.

    Dopo avere eliminato il Bologna al primo turno della Coppa dei Campioni della stagione 1964-1965 (anche se solo con il lancio della monetina dopo tre incontri tiratissimi ed equilibrati) nella stagione 1969-1970 l’Anderlecht nella semifinale di Coppa delle Fiere supera come detto l’Inter di Heriberto Herrera.

    Tranne qualche rara eccezione il calcio italiano rappresenta tutto quello che io non amo. Ho sempre pensato che il calcio generoso e coraggioso dovesse sempre avere la meglio su quello freddo e calcolatore”.

    Infine i ricordi. 

    “Il più piacevole è quando la Nazionale belga in una partita contro l’Olanda schierò nel secondo tempo tutti gli undici miei ragazzi dell’Anderlecht. Fu una occasione davvero unica e un segno di grande apprezzamento per quello che avevamo costruito insieme in quegli anni”.

    “Il più doloroso fu la morte di Laurent Verbiest, il leader della mia difesa all’Anderlecht in quel tragico incidente nel febbraio del 1966. Io non ho mai allenato un difensore più forte in tutta la mia carriera. Era “la classe” allo stato puro. Per noi era in difesa quello che Paul Van Himst era in attacco”.
     

    Altre Notizie