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    Silvio Berlusconi e Brocchi, se la Rete diventa dittatura

    Silvio Berlusconi e Brocchi, se la Rete diventa dittatura

    • Marco Bernardini
    La potenza della Rete si fa ogni giorno più evidente mostrandosi ormai come fenomeno planetario irreversibile. Se addirittura un uomo e un personaggio “all’antica” come Silvio Berlusconi dal suo letto dell’ospedale San Raffaele di Milano trova giusto affidare il suo messaggio pre-operatorio allo strumento mediatico di Facebook allora significa che sarà ben difficile se non impossibile evitare l’uso, fascinoso ma anche pericoloso, della comunicazione in tempo reale per soddisfare ogni tipo di quotidiana necessità.

    Ho voluto usare l’aggettivo “pericoloso” perché ho la sgradevole impressione che, con ogni probabilità, la tendenza a cavalcare la Rete per ciascuna questione che si presenti, dalla più piccola e banale a quella più interessante e importante, si stia facendo un po’ troppo disinvolta e superficiale. Che l’uomo non sia creatura perfetta è ben noto a tutti. Che le sue opere, nel bene e nel male, siano perfettibili come lui è altrettanto assodato. La storia del mondo è infarcita da esempi clamorosi di invenzioni frutto del genio umano nate con finalità positive e poi, strada facendo, trasformatesi in autentici boomerang. Esemplare, in letteratura, è la metafora del dottor Frankenstein il quale cercando di sciogliere il nodo legato all’eternità finisce per dare vita un mostro che si ribellerà al suo creatore.

    Positive e in buona fede erano certamente le intenzioni di coloro che, puntando sulla nascita e sullo sviluppo di un mondo più libero e soprattutto autenticamente democratico, avevano e hanno delegato alla formula del “social” il compimento di una rivoluzione davvero globale. Un teorema dal fine assai più che lodevole la cui applicazione al quotidiano presupporrebbe, comunque, una partecipazione intelligente e guidata dal buon senso. Le cose, a quanto pare, non stanno esattamente così e la responsabilità non va sicuramente attribuita allo strumento semmai a coloro i quali lo usano in maniera distorta e deviante.

    Il “caso” di Cristian Brocchi il quale si è visto costretto ad alzare il ponte levatoio che, su Facebook, poteva far incontrare il suo pensiero con quello altrui soltanto perché si è permesso di esprimere il suo parere sulla eventuale cessione del Milan ai cinesi e che per questo motivo è stato sommerso da una valanga di insulti, mi pare rappresenti in maniera esemplare la punta di un iceberg che sarebbe opportuno evitare con cura per non dover rischiare eticamente la fine del Titanic.  Un fatto, tra l’alto, recidivo se si ricorda che anche Cerci a suo tempo aveva deciso di spegnere il suo sito per ragioni più o meno analoghe e tutte frutto di ignoranza e maleducazione.

    Rammento il titolo di un libro scritto da due ottimi e geniali colleghi come Fruttero e Lucentini: “La prevalenza del cretino”. Una “malattia” piuttosto diffusa, nata insieme con il genere umano, impossibile da debellare. Al di là dei due esempi riferiti al presidente e all’allenatore in questione, la letteratura della comunicazione mediatica gronda quotidianamente di nefandezze assortite. L’impossibilità di cancellarla, però, non vuole dire che non sia invece possibile arginarla e contenerla entro confini non accettabili ma almeno sopportabili. Isolare la tribù degli intellettualmente violenti, dei prevaricatori, degli intolleranti, dei presuntuosi, dei saccenti, dei maleducati e in una sola parola degli imbecilli. In caso contrario, impedendo con la volgarità e con gli insulti alla gente normale e per bene di esprimere le proprie idee, si arriverà alla dittatura di chi urla di più. E la Rete non è stata creata per questo.
     

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