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    Sigarette e tuta, Sarri troppo 'paisà' per la Premier: Milan, riportalo in Italia!

    Sigarette e tuta, Sarri troppo 'paisà' per la Premier: Milan, riportalo in Italia!

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Probabilmente lo faranno Paolo Maldini e Leonardo, a nome del Milan. Se ciò non dovesse accadere l’importante è che qualcuno si dia una mossa e intervenga per andare a Londra a riprendere il ”sergente” Sarri prigioniero in un mondo con il quale c’entra poco o niente. Riportalo in Italia dovrebbe essere una delle priorità per il nostro calcio.

    Indipendentemente da quello che il Chelsea riuscirà  a fare in questo finale di stagione che lo vede ancora in corsa per la finale di Europa League, la realtà dei fatti “ambientali” impone di prendere atto che il tecnico tosco-campano con l’Inghilterra c’entra come i classici cavoli a merenda. Non per ragioni tecniche o professionali, ma per cause di manifesta incompatibilità etnica.

    Vivere e lavorare a Londra per chi arriva da Oltremanica non è semplice. Gli inglesi hanno una epocale vocazione alla colonizzazione e non accettano “intrusi” che non abbiano avuto la forza e il coraggio di combaciare con la loro cultura sposandone usi e costumi anche soltanto formali ed estetici. Banalizzando, ciascuno di noi si sarà trovato in difficoltà per le strade della capitali britannica allorché si trattava di chiedere un’informazione. Il londinese ti risponde nello slang “stretto” della City e finge di non capire una sola parola di quel che dici. Un piccolo, ma molto significativo particolare.

    Sarri, dopo quasi un anno di permanenza nel Regno Unito, si presenta allo conferenze stampa  insieme con l’interprete. Inammissibile per i media locali che pure avevano accolto il tecnico italiano con grande entusiasmo perché “diverso” dai canonici modelli precedenti e portatore di un nuovo vento calcistico chiamato “sarrismo”. Troppo diverso, però. Più di Vialli, Mancini e Ranieri i quali in tempo da record si erano inglesizzati al punto da apparire come quelli che in Inghilterra erano nati. Anche per il modo di vestire.

    Stessa musica, insomma, per ciò che riguarda il comportamento esteriore. Sarri va in panchina indossando la tuta  da lavoro mentre tutti i suoi colleghi si presentano in camicia e cravatta sotto un impeccabile vestito blu. Ogni tanto, poi, scompare dietro la panchina per tirare un paio di note dalla sigaretta scandalizzando gli igienisti e contravvenendo alla regola la quale stabilisce che dentro uno stadio manco il re può fumare. L’unico che può permettersi il lusso dell’abbigliamento “casual” è Klopp che però non lavora a Londra e soprattutto è considerato un artista al quale si deve perdonare ogni tipo di bizzarria come si usa fare con le rock star

    Questa completa assenza del necessario spirito british ha trasformato velocemente Sarri in una sorta di “corpo estraneo” al mondo del calcio inglese e anche allo stesso tessuto londinese. E questo indipendentemente dalla sua professionalità e dagli stessi risultati che comunque, oggettivamente, sono stati inferiori alle attese. Sarri che è nato a Napoli nel quartiere di Bagnoli dove il suo papà faceva l’operaio all’Italsider e che è cresciuto nella provincia aretina è rimasto troppo “paisà” per poter essere assimilato dal rigoroso e formale stile di vita britannico. 

    Un tipo alla Orrico rivisitato in chiave contemporanea sia per mentalità professionale e sia per vocazione alla onesta ruvidezza nei rapporti interpersonali. Un italiano vero inghiottito e ora prigioniero nel fumo di Londra. E’ tempo dunque che qualcuno si sbrighi, vada a liberarlo e lo riporti in Italia dove di un lavoratore del pallone senza fronzoli come lui c’è tanto bisogno.

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