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Si riduce tutto a una partita di calcio: le 'Vite parallele' di Putin e Hitler e le eredità incompatibili fra Est e Ovest
TENSIONE - Il clima da stadio è tale che le due parti si accusano reciprocamente di non poter nemmeno dar adito a dubbi o ragionamenti per essere immediatamente bollati come infami. Sono soprattutto coloro che accusano più la Nato di Putin di essere all’origine dell’aggressione russa, a sentirsi vittime di un tifo spietato e criminalizzatore. Vediamoli allora i dubbi e i distinguo. La valente professoressa di filosofia Donatella De Cesare si professa pacifista a oltranza: ritiene l’invio di armi all’ Ucraina da parte occidentale un evidente errore perché “non fa altro che rendere più lunga la guerra”. A chi le fa notare che se Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica e Stati Uniti non si fossero opposti a Hitler la guerra non ci sarebbe nemmeno stata, con grande risparmio di vite umane, la professoressa risponde: “Putin non è Hitler”. Si potrebbe obiettare che i paragoni producono somiglianze, non identità. E le somiglianze aiutano a capire. Plutarco sulle somiglianze ci ha scritto un libro (non uno qualsiasi, un fondamento del nostro sapere) e quando pone, uno di fronte all’altro, personaggi di rilievo storico non dice che sono uguali. No, ma, nelle sue Vite parallele, ci mostra alcuni tratti comuni che spiegano molto sia persona sia del contesto storico. Differenze, soprattutto somiglianze e contiguità. Per esempio: Coriolano non è Alcibiade, però entrambi sono mossi dall’ orgoglio e dalla sete di vendetta.
PARALLELISMO - Putin non è Hitler, ma certe assonanze fra i due sono chiare. Per il dittatore nazista furono gli insopportabili danni di guerra pagati dalla Germania, dopo il ’15-’18, imposti dai vincitori a Versailles a “costringerlo” a un’idea di rivalsa. A sentir lui, fu lo “scippo” dell’Alsazia-Lorena restituita dai vincitori alla Francia, togliendola dopo circa 70 anni alla Germania; fu l’esigenza dello “spazio vitale” e il sentirsi circondato a est dall’ Unione Sovietica a “costringerlo” a iniziare la sua guerra lampo, a invadere i Sudeti e la Polonia. Quando si inizia una guerra ci sono sempre delle ragioni, più o meno forti, più o meno condivisibili. In questo caso non si riscontrano somiglianze tra l’esigenza di “spazio vitale” e le doglianze per la “distruzione” dell’Unione Sovietica? A tal proposito vorremmo ricordare che l’Unione Sovietica non fu distrutta o aggredita, ma implose e dal 1990 molte ex Repubbliche Sovietiche si dichiararono indipendenti, attraverso libere elezioni: Lituania, Moldavia, Estonia…Ucraina. Non fu la NATO a determinare la disgregazione dell’U.R.S.S. con la successiva nascita di Stati Indipendenti. Chi sostiene che bisogna distinguere tra propaganda e sostanza è lo storico Luciano Canfora. Per lui, in sintesi, la propaganda sta nell’argomentare che l’Ucraina è aggredita e la Russia è l’aggressore. Tucidide nella sua Guerra del Peloponneso - scrive in un bell’ articolo sul “Corriere della Sera” - ci ha mostrato quanto sia labile affermare che l’aggredito ha sempre ragione: Sparta non attaccò forse Atene a causa dell’imperialismo di quest’ultima? Tucidide dice così, considerando entrambe le parti responsabili, perché molte colonie ateniesi, vessate dalle imposizioni (soprattutto economiche) della madre patria, si rivolsero a Sparta per essere “liberate” da gioghi intollerabili. D’accordo, ma ai nostri giorni non abbiamo visto decine di “colonie” richiedere a Putin di liberarle dal giogo ucraino, né, tantomeno da quello della Nato. Tant’è che Putin identifica la ragione principale del suo attacco in un imperativo: “Denazificare l’Ucraina” con evidente falso storico. Giustificazioni appunto, quelle dell’espansione della Nato o della difesa delle minoranze russofone, per una guerra che sta assumendo, invece, “i caratteri d’uno scontro di civiltà” come scrive Antonio Polito. “C’è gente - ha detto Putin - che tradisce per ostriche fois gras e libertà di gender”.
IDEALI - Il Patriarca della Chiesa russa Kirill ha aggiunto che in Ucraina si combatte per non sottomettersi al diavolo e al peccato ovvero “alle sfilate dell’orgoglio gay”. Per Biden, invece Putin “è un dittatore omicida e criminale”, per Draghi “uno che attenta ai nostri valori di fondo: democrazia e libertà”. In realtà ci sono appunto due concezioni politiche e quindi di vita radicalmente diverse, frutto di eredità differenti. Non tanto economiche perché il turbocapitalismo russo si traduce in un privatismo a ruota libera, ben più sfrenato di quello occidentale, bensì ideali. Putin crede ancora nell’ idea della Grande Madre Russia, nell’ unità spirituale e religiosa d’un popolo, da garantire sempre e comunque, pena l’assenza di libertà, secondo una linea che si perpetra dai tempi dell’Zar. Più illuministicamente l’Occidente postula una società aperta ai cambiamenti e al dettato di garantire ai propri cittadini “la possibilità di condurre la vita che credono”. C’è qualcosa di nuovo e d’antico in Putin. Di nuovo il consumismo, l’abbagliante ricchezza di pochi, la rincorsa a un modello occidentale di lusso ostentato, soprattutto nelle grandi città e per mano di un gruppo di oligarchi. D’antico, l’autocrazia, il nazionalismo fatto di “sangue e terra”, il militarismo, l’Occidente corruttore, l’assenza di libertà. E chi comanda deve farsi carico di questo passato che non passa e che forse non avrà futuro. Ma non importa. Così fecero gli Zar, il Piccolo Padre Stalin, molti grigi, efferati segretari del Pcus e oggi lui: Putin.