Serie A, in 5 milioni usano il 'pezzotto': come i pirati aggirano le regole
COME FUNZIONA - Per permettere al proprio decoder di trasmettere le partite di Serie A, ma anche canali esclusivi o contenuti on demand, basta acquistare un abbonamento illegale, molto facile da reperire su Internet, dove abbondano servizi dal prezzo molto inferiore a quello ufficiale. Si procede al pagamento con carta di credito, con tutti i rischi di tracciabilità del caso: a quel punto il pirata fornisce un indirizzo web e una password da inserire. Molto spesso, inoltre, la qualità, spesso in 4k, è migliore dei servizi ufficiali e il ritardo delle immagini è anche inferiore. Il motivo sono i sistemi di sicurezza: Sky e DAZN, quando trasmettono le partite, devono proteggere il segnale, e la tecnologia necessaria ha l’effetto di far arrivare le immagini sulle televisioni con qualche secondo di ritardo. I pirati invece non hanno bisogno di criptare il proprio prodotto in maniera particolarmente sofisticata. Anche se è sempre più frequente il fenomeno di pirati che rubano le immagini ad altri pirati.
'SERVE L'ORDINE DI UN GIUDICE' - I servizi pirata che si spartiscono il mercato sommerso sono decine: così, ognuno consuma molta meno banda, garantendo spesso una maggiore velocità. E con l’andare degli anni gli stessi pirati dei canali TV sono diventati più sofisticati: prima trasmettevano da un computer in uno scantinato, ora si appoggiano su cloud provider stranieri che sostituiscono di fatto un luogo fisico con un luogo che esiste solo in rete, sfruttando gli accordi dell’Unione Europea sul “peering”, l’interconnessione tra i provider sparsi sul territorio europeo. Ovviamente esistono i mezzi per fermarli con le società di telecomunicazione che potrebbero bloccare gli indirizzi IP quando si riscontrano connessione irregolari, ma il problema sono i tempi. Al momento se Sky e DAZN segnalano una sorgente irregolare che trasmette i propri contenuti e chiedono di spegnerla, non avviene nulla. Perché? «Serve un ordine del giudice» è la risposta più frequente.
LIMITI - L’evento sportivo ha una durata limitata e l’ordine del giudice quando arriva e dà l’autorizzazione di bloccare un indirizzo IP, la partita è bella che finita. Ma ancora più difficile bloccare i cloud provider, che tendono a non essere esattamente collaborativi, protetti dai regolamenti sul commercio elettronico: vendono un servizio permesso, non sono tenuti a conoscere cosa viene fatto tramite le proprie infrastrutture. Non solo: come scrive Repubblica per aggirare le regole di intervento, alcuni operatori cloud si sono strutturati affittando pezzi della propria attività a società offshore. Che così non devono rispettare le regole europee. Quando però i servizi di cyber security riescono a trovare una breccia, quantomeno rompono la catena illegale.