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Serie A a 18 squadre, più che un’ipotesi è una necessità
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Nella prossima stagione, infatti, la prima fase della nuova Champions imporrà 2 partite in più rispetto a questa, cui si aggiungeranno le 2 di playoff per le classificate dalla nona alla ventiquattresima posizione del mega girone iniziale (che fa rima con infernale). E non finirà qui, perché l’Inter e una tra Juventus e Napoli giocheranno il Mondiale per Club negli Stati Uniti, match inaugurale il 15 giugno e finale il 13 luglio 2025. Per questo la Serie A 24/25, dopo gli Europei che si concluderanno il 14 luglio, inizierà nel weekend del 17-18 agosto: ritmo, ritmo, ritmo. I calciatori delle big di A, Premier e Liga potrebbero arrivare a giocare oltre 70 partite tra club e nazionale, dopo la tiratissima annata in corso e la preparazione condizionata dai postumi degli Europei. Recuperare una partita rinviata, poi, diventerebbe un’impresa.
Indietro (con i calendari) non si torna ma si deve andare avanti con la qualità dello spettacolo, inversamente proporzionale alla quantità degli impegni. Lo statuto federale non permette la riduzione della Serie A senza il consenso della Lega e il recente golpe tentato da 4 top club ha irrigidito i dirigenti delle altre, che temono anche l’eventuale stagione di transizione, con più retrocessioni delle tre attuali. Allenatori e calciatori, con le rispettive associazioni, sono combattuti: alle difficoltà correnti di preparare le partite, allenarsi, recuperare e prevenire gli infortuni, si oppone la consapevolezza che meno squadre significherebbe meno posti di lavoro per tutti. C’è poi il tema dei diritti tv: il contratto dei prossimi 5 anni prevede l’ipotesi del torneo a 18 senza che questo incida sul valore economico dell’accordo, ma resterebbe da stimare l’impatto sulle tv di 4 turni in meno di campionato.
Ultimo ma non ultimo: ridurre il numero delle squadre migliorerebbe automaticamente la competitività del torneo? Propendiamo per il sì, anche se pure nelle ultime edizioni a 18 (fino al 2004) c’erano state squadre retrocesse già a metà stagione: nel 99/00 Cagliari e Piacenza finirono con 21 e 22 punti, a -14 dal quartultimo posto, che allora significava comunque retrocessione; il Bari l’anno dopo si fermò a 20, il Venezia 2001/02 ne fece solo 18 e l’Ancona 2003/04 appena 13. Le inutili partite di fine stagione, quindi, non erano mancate nemmeno prima del Benevento 17/18, un solo punto nelle prime 18 giornate e ultimo in classifica per tutta la stagione; della SPAL 19/20 (5 punti nelle ultime 18) e dell’ultima Samp (19 punti totali). Less is more, insomma, si potrà dire solo se alla contrazione della Serie A si accompagneranno indicatori economici più efficaci per valutare la sostenibilità dei club. Perché già nel 2010 Ferran Soriano, ex dirigente del Barcellona e ora ad del Manchester City, pur ricordando che “le società con i bilanci sani sono destinate a dominare sul medio-lungo periodo” non poteva ignorare che questo calcio globale resta un mondo a parte: “Se un panettiere indebitato vuole ingaggiare i migliori lavoratori sul mercato per fare il pane più buono della città, fallisce; tanti presidenti con conti disastrati acquistano i migliori calciatori e non gli succede nulla…” *.
*“La pelota no entra por azar” (Il pallone non entra per caso), Ferran Soriano, JP Libros, 2010