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Senza un vero nove, neanche Conte può fare miracoli. Barella, all'Inter non serve un attaccabrighe
Nel calcio moderno - lo sanno tutti - l’attaccante non si limita a far gol. Quando non ha la palla gioca e partecipa. Come? Andando in pressing, accorciando sui difensori avversari, rientrando sotto la linea della palla. Tutte cose che Esposito e Longo non potevano fare, anche perché isolati dentro una squadra spezzata. Non meglio poteva andare a Perisic, entrato nella ripresa al posto di Longo, in quello che Conte pensa possa essere il suo nuovo ruolo di seconda punta.
Ora le idee sono tutte rispettabili. A maggior ragione se vengono da un allenatore che pensa ad un calcio perennemente mutante e non statico. Tuttavia sulla nuova posizione del croato mi permetto di conservare qualche dubbio: abituato a muoversi in spazi larghi dove distende una falcata profonda, Perisic in area mi sembra ristretto in un labirinto. Non solo perché non possiede un dribbling vincente, ma anche perché i suoi gol vengono con progressioni o percussioni da fuori. Detto il mio parere, non si può dubitare che veda la porta e che abbia a disposizione varie soluzioni, compresa quella aerea.
L’Inter che ha affrontato lo United è stata la stessa dei primi sessanta minuti con il Lugano. Tranne, per l’appunto, sulla fascia sinistra, dove Dalbert ha giocato molto meglio del sopravvalutato Wan-Bissaka, capace di rientri spettacolari (anche se lievemente scorretti), ma non di appoggiare un pallone a quattro metri di distanza. Nel 3-5-2 contiano Barella ha trovato posto solo poco prima del gol e, al pari di Skriniar, si è messo in evidenza per un atteggiamento aggressivo ad ogni fallo subito. E’ chiaro che il ragazzo va fatto raffreddare. In una grande squadra non si può essere ammoniti sempre (anche se con lo United il giallo gli è stato risparmiato) magari a causa di entrate sconsiderate. Ci vuole senso di responsabilità e, se serve, una dose quotidiana di bromuro. Non è vero che tutti gli attaccabrighe hanno personalità. Se non quella, per l’appunto, dei perenni litiganti. Skriniar, invece, è stato solo scorretto negli interventi, ma questo lo si deve alla fatica che, durante la preparazione, ti prende ben prima della fine.
Cosa è mancato nell’Inter che, invece, si era visto a Lugano? Intanto il gegenpressing perché la palla l’hanno avuta quasi sempre gli avversari e riconquistarla è stato un esercizio improbo e poco spesso riuscito. Poi l’equidistanza tra i reparti. Rispettata tra difesa e centrocampo, completamente saltata con l’attacco perché progressivamente l’Inter si è abbassata fino quasi ad appiattirsi (altro effetto della fatica). Se a questo aggiungiamo che la prima gara dell’International Champions Cup (ICC) si è giocata a Singapore, dentro il National Stadium, dove albergava un’umidità all’80 per cento e contro un avversario nettamente più avanti nella preparazione, il quadro può dirsi completo.
Non si tratta di innalzare alibi, ma di spiegare le cose come stanno. Non si possono affrontare test di questa portata, per di più in condizioni proibitive, senza almeno uno straccio di attaccante e con le gambe ancora imballate. Se non sapesse come va il mondo, Conte sarebbe d’accordo con me: le zingarate in giro per il mondo sono molto remunerative per i club, ma per nulla allenanti. Anzi sono proprio dannose. Il migliore in senso assoluto è stato Handanovic, seguito dalla difesa a tre formata da D’Ambrosio, De Vrij e Skriniar. Un contribuito prezioso lo hanno dato anche i legni della porta: quello alla sinistra di Handanovic (testa di Matic) e la traversa (scheggiata da Greenwood, un ragazzo del 2001, autore del gol del successo inglese). Ovviamente non si può dire che l’Inter sia cresciuta, ma piuttosto che si è consolidata. Quando avrà Lukaku (o Cavani) e Dzeko farà un calcio diverso. Rivedremo il gegenpressing e Conte sarà finalmente contento perché la società avrà fatto il suo dovere.
@gia_pad