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    Italia, c’est fini. Senza Conte il Matto, madonna che silenzio!

    Italia, c’est fini. Senza Conte il Matto, madonna che silenzio!

    • Marco Bernardini
    Voilà, c’est fini. Tout va. L’azzurro intenso che ispirava visioni epiche torna ad essere un colore certamente molto bello ma normale, come ciascuna tinta dell’arcobaleno provvista della propria dignità cromatica. Le lacrime di Gigi Buffon hanno innaffiato il prato che, per un momento, tutti avevamo sognato essere tempestato di quadrifoglio porta buono. Restano i fili d’erba. Verdi e ben rasati. Ma pur sempre di semplice erba si tratta. Ingiallirà con il tempo e la memoria la conserverà in maniera distratta perché non fu vera gloria da tramandare ai posteri come era accaduto in Spagna o in Germania.

    Di più, francamente, è difficile pensare che potesse essere fatto. Era legittimo sperare, questo sì, affidandosi un poco anche alla tradizione e alla buona sorte. Ma vai a pensare che un tipo navigato come Pellè sul più bello cada in trance da presunzione, manco il suo cognome fosse scritto con una ”elle” in meno, per poi rimediare la figura del cialtrone. Oppure che a Zaza e a Darmian tremino così tanto le gambe al punto da fargli produrre, anziché bombe, caramelle al miele per il crucco Neuer e la sua banda guidata da un allenatore vestito con il maglioncino nero a pelle scollato a “v” e  il ciuffo “tirbaci” sulla fronte come un play boy in striscio sulla “Croisette”. Basta. C’est fini e tout va. Si volta pagina. Ma per davvero.

    Non è un addio, a un arrivederci”, promette ufficialmente Antonio Conte al momento del sciogliete le righe. I gufi e i detrattori dell’uomo simbolo di un’Italia a suo modo irripetibile vorranno leggere in quella frase una minaccia. Gli altri, la maggioranza e immagino anche tutti i giocatori azzurri nessuno escluso, si aggrapperanno a quelle parole come ad una speranza. Cosa accadrà domani nessuno è in grado di saperlo, naturalmente. Una cosa è certa, Conte il Matto migra nel Paese del Brexit per andarsela a giocare con altri santoni della panchina come Guardiola e Mourinho. In Casa Italia scende il silenzio. Madonna che silenzio. Agghiacciante, per dirla rimanendo in tema. Sì, perché più che un voltar pagina si tratterà di mettere in archivio un romanzo per cominciare a scriverne un altro assolutamente originale con il  nome di un autore nuovo di zecca. Nessun passaggio di eredità, come si dice. Semmai una rifondazione radicale. Perché tra Conte il Matto e Ventura il Filosofo Illuminista punti di incontro non ce ne sono proprio.

    Del nuovo cittì, l’uomo che dovrà cominciare a lavorare fin da subito per condurci sulla scena dei prossimi Mondiali tra due anni, ricordo specialmente un incontro quando lui allenava la Sampdoria e essendoci in giro aria di retrocessione il presidente aveva costretto la squadra ad una settimana di “ritiro-prigione” in un paesino della riviera toscana. Una “punizione” che toccò anche a me per dovere professionale. Incontro Ventura al bar dell’albergo trasformato in collegio e gli comunico che dovrà avere la pazienza di sopportare anche me per l’intera settimana. Mi osserva con commiserazione e mi fa con quel suo parlare sempre molto pacato: “Il massimo della vita! Non vorrei essere al suo posto, mi creda”. Altri, al posto suo, avrebbero risposto in maniera differente tipo “Bene, mi fa piacere” oppure “Comunque eviti di essere invadente” o anche “Vorrà dire che ci faremo compagnia, la sera”. Lui no. Giampiero Ventura aveva preferito la formula del  “pane al pane e vino al vino”. Inutile prendersi per i fondelli. Una settimana di isolamento sarebbe stata una rottura di palle per tutti.

    Questo per dire e per significare che da un “cuore di vulcano pugliese” in eterna fase di eruzione e un  “cuore di profonde meditazioni liguri” dove l’urlo non è previsto il passaggio sarà brusco. Soprattutto quello psicologico e mentale. Conosco bene il Conte giocatore di una Juventus per la quale è stato per anni  il trascinatore senza se e senza ma. Il tecnico Antonio, quello successivo all’uomo del campo, non è mutato di una virgola. Anzi, cresciuto per autostima strada facendo, ha usato il suo magnetismo empatico e quasi violento come banco di prova per ipnotizzare i suoi ragazzi e spedirli al fronte armati di coraggio da vendere anche quando magari mancavano le munizioni da sparare. E lui con loro. In prima linea. Potenza delle emozioni.

    Con Ventura sarà completamente diverso. Intendo il clima e le suggestioni. Il tecnico genovese ben poco o nulla regala all’emotività, pur essendo egli un passionale nel senso che sa apprezzare e amare ciò che merita attenzione. Ma, al contrario del suo predecessore, il centro gravitazionale intorno al quale deve ruotare un gruppo è determinato solo e soltanto dall’attività del cervello. Ventura, insomma, è un realista ortodosso al quale piace dare un esatto valore ad ogni cosa. Senza eccessi estremi, nel bene come nel male. Per lui i giocatori sono persone da trattare con la necessaria educazione professionale e dai quali pretendere un identico atteggiamento da uomini maturi e consapevoli. Non amici di matita, non fratelli minori, non ragazzini da elogiare o bacchettare a seconda delle circostanze come quelli del gruppo di Conte il Matto. Professionisti a fare egualmente gruppo, ma senza il supporto delle visioni. Buon lavoro dunque. Dopo tanto chiasso….comunque, madonna che silenzio c’è adesso.

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