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    Seedorf: 'Noi senatori senza eredi al Milan'

    Seedorf: 'Noi senatori senza eredi al Milan'

    Intervista al centrocampista olandese del Botafogo.
    Seedorf, il signor derby: "Il Milan risorge solo se sta unito". 
    Dodici anni a Milano, distribuiti non equamente su entrambe le sponde del Naviglio. Dal dicembre del 1999 all’estate del 2002 Clarence Seedorf, reduce da un’esperienza trionfale a Madrid, veste la maglia dell’Inter. Poi dopo uno scambio con Francesco Coco, l’olandese cambia squadra senza mutare città. Il Milan diventa la sua seconda pelle, Seedorf diventa il Signor Derby. Poi la politica di ringiovanimento della rosa lo ha portato in estate lontano dall‘Italia e da Allegri con cui i rapporti sono stati spesso tesi. “I miei derby al Botafogo sono ora con il Flamengo, il Vasco da Gama o la Fluminense”. In Italia era soprannominato il Professore. “Qui mi chiamano il Maestro”.

    Sarà davanti alla tv domenica?

    “No perché giochiamo anche noi”.

    I suoi derby da ricordare?
    “Ne cito tre: l’indimenticabile è il doppio incrocio in Champions nella semifinale del 2003, poi il 3-2 del febbraio del 2004 e infine la sfida di Pechino in Supercoppa dell’agosto dello scorso anno. Gare legate a successi finali del Milan”.

    Di questi tempi gli anni delle vittorie sembrano lontanissimi. Com’è la crisi del Milan vista da Oltreoceano?
    “Non conosco bene la situazione ma so che nelle difficoltà ci vorrebbe unione e spirito di gruppo. Nei momenti complicati i giocatori devono prendersi le responsabilità”.

    Quali consigli dà ad Allegri?

    “Un allenatore ha il compito di trasmettere certezze e tranquillità alla squadra. Con un buon lavoro tecnico-tattico adeguato alle caratteristiche della squadra si può invertire il trend: effettuare meno possesso palla e più ripartenze non è una vergogna. Ma sono certo che alla fine il Milan verrà fuori visto che ha più qualità della media”.

    La gente non ci crede tanto: ci sono ancora a disposizione biglietti per il derby.
    “La crisi si fa sentire, prima magari i tifosi effettuavano uno sforzo economico perché erano motivati dal vedere all’opera un determinato giocatore o erano ispirati dal gioco di squadra. Il Milan ha intrapreso una politica che porterà avanti nel tempo. Non bisogna guardare ai risultati attuali ma al lungo periodo anche se la Juve per i prossimi cinque anni sarà la squadra da battere”.

    Il derby è anche la sfida di due società che nel mercato hanno rotto i ponti con il passato.

    “Non paragonerei le due situazioni. Dall’Inter sono andati via dei grandissimi come Lucio, Julio Cesar e Maicon ma nessuno di loro stava alla Pinetina da dieci anni. Dal Milan siamo partiti in tanti, di certo il cambiamento è stato più traumatico e poi l’Inter storicamente è più abituata a fare rivoluzioni”.

    E’ stato un errore da parte del Milan separarsi all’improvviso da tutti i giocatori di maggior esperienza?
    “Diciamo che erano consapevoli del buco che lasciavano. Negli anni passati hanno dato l’addio grandissimi come Maldini, Costacurta, Cafu ma in ogni occasione c’erano giocatori pronti a sostituirli. Ora questo ricambio non c’è stato. Ecco perché l’impatto è diverso. Ma non spetta a me dire se è sbagliato: è stata una scelta. Di certo la società ora dovrebbe prendere in mano la situazione per indicare la strada con chiarezza”.

    Un aggettivo per definire Moratti?

    “Cordiale, in ogni circostanza”.

    Uno per Berlusconi?
    “Attento. Mi ricordo ancora quando andai con Onyewu in ospedale a trovarlo dopo che era stato aggredito da un manifestante in piazza Duomo. Aveva la testa spaccata ma si informò sul ginocchio operato di Oguchi“.

    La principale differenza fra il calcio brasiliano e quello europeo?
    “E’ certamente più tecnico e meno tattico. Di certo il campionato è più equilibrato: chi vince fa 65 punti. In Italia ne servono 80. Ma la difficoltà maggiore è legata alla temperatura. A 38° si fa fatica a spingere. Ma ho scelto il Botafogo perché c‘è un progetto tecnico ampio con grandi opportunità legate al Mondiale in arrivo”.

    Se Del Piero è l’ambasciatore del calcio italiano in Australia, lei si sente l’alfiere del calcio europeo in Brasile?

    “Ale è il portabandiera del calcio italiano, ma io porto quattro bandiere in giro …”.

    Le piacerebbe tornare a lavorare nel Milan?
    “Certo, perché no? Il rapporto con la società è sempre rimasto ottimo. Mi è spiaciuto non salutare i tifosi ma il non congedo è ancora più significativo perché vuol dire che non è finito niente. Ringrazio tutti per gli anni che abbiamo vissuto insieme allo stadio. Il futuro nessuno lo conosce ma se ci fosse l’occasione, il ritorno sarà ancora più bello”.


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